Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il giovane Tintoretto Mostra alle Gallerie dell’Accademia
Dal 7 settembre la mostra alle Gallerie dell’Accademia, dedicata al primo periodo dell’artista
Una forte tridimensionalità, una tavolozza ricca di colori contrastanti, le figure non ancora sciolte dalla luce. Il genio e l’ambizione, il talento e la velocità di esecuzione di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1518/19-1594) emergono già nell’Adorazione
dei Magi, che il pittore veneziano dipinse a soli 20 anni, tra il 1537-38. Ci sono già certe tensioni drammatiche tipiche tintorettiane in questa tela del Museo del Prado di Madrid, che giungerà a Venezia alle Gallerie dell’Accademia con altri importanti prestiti nella mostra «Il giovane Tintoretto» (catalogo Marsilio Electa), dedicata al primo decennio della sua produzione artistica, inserita nelle celebrazioni che la città dogale offre per cinquecentenario dell’artista, nell’ambito del progetto espositivo che dal 2015 la Fondazione Musei Civici di Venezia ha sviluppato con la National Gallery of Art di Washington.
Se a Palazzo Ducale sarà allestita dal 7 settembre al 6 gennaio 2019 l’esposizione «Tintoretto 1519-1594», centrata sul periodo più fecondo della sua arte - con masterpieces come Susanna e i vecchioni (1557) e Origine della Via Lattea (157580) - nelle stesse date alle Gallerie va in scena «un pittore molto audace - afferma la direttrice Paola Marini, curatrice della rassegna con Roberta Battaglia e Vittoria Romani - in cerca della sua cifra stilistica. La mostra vuole essere una lente d’ingrandimento sulla formazione del genio rinascimentale, tenendo presente il contesto veneziano».
Attraverso 60 opere (di cui
26 autografe) e quattro sezioni cronologiche, un percorso che parte dal 1538, anno in cui è documentata per la prima volta un’attività indipendente di Jacopo Robusti, a San Geremia, fino al 1548 con Miracolo dello schiavo, realizzato per la Scuola Grande di San Marco, oggi alle Gallerie. L’inizio della mostra è nel segno di Tiziano, con la Cena in Emmaus (1530 circa), dal Louvre di Parigi, in cui il maestro cadorino evoca la bellezza più reale nel dolore e nella morte degli uomini.
Punto imperativo di partenza per tutti i pittori dell’epoca, «da Tiziano - marca Marini - il giovane Tintoretto “ruba” tanto, soprattutto dal Tiziano meno classico». In questa prima sezione, un panorama delle ricerche pittoriche condotte a Venezia nel corso degli anni Trenta, grazie alla politica di rilancio della città della Serenissima promossa dal doge Andrea Gritti. Da Bonifacio Veronese a Paris Bordon, da Polidoro da Lanciano al friulano Pordenone.
A seguire un focus sull’arrivo a Venezia, tra il 1539 e il 1541, di artisti toscani quali Francesco Salviati e Giorgio Vasari, per un
confronto tra la tradizione figurativa veneta e centroitaliana. Ed ecco fare il suo ingresso Tintoretto, con una ventina di opere nella terza sezione create tra la fine degli anni trenta e la prima metà degli anni quaranta. Esposti per la prima volta in Italia la Conversione di San Paolo della National Gallery di Washington e l’Apollo e
Marsia del Wadsworth Atheneum di Hartford, e poi il Cristo tra i dottori della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano appena restaurato, i soffitti provenienti da Palazzo Pisani a Venezia, ora alle Gallerie Estensi di Modena e la Cena
in Emmaus dal Museum of Fine Arts di Budapest, in un raffronto a distanza col capolavoro tizianesco.
«La mostra - spiega Paola Marini - rende conto pure dell’influenza michelangiolesca, col Tintoretto attratto da quella sua dinamicità ricercata sulle figure umane». Infine la consacrazione sulla scena veneziana, col pittore impegnato nella realizzazione di grandi teleri di argomento sacro. Come l’Ultima Cena di San Marcuola, datata 1547, in cui l’intensità dell’azione dei personaggi è tanto concitata da sembrare animata. Scenografico l’accostamento del dipinto ad altre due opere con lo stesso soggetto di Porta Salviati e Jacopo Bassano. Passando per i ritratti, l’approdo è col già citato Miracolo dello schiavo, «un dipinto straordinario - spiega Marini - che lo consacra alla fama».