Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Slot, tornano le «distanze minime»
Il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar e dà ragione al Comune di Vicenza
VICENZA Ci sono voluti cinque anni: il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar del 2013 sulle distanze minime da «luoghi sensibili» per aprire stanze per il gioco d’azzardo, dando ragione al Comune di Vicenza. Così chi aveva cominciato la «battaglia» ora può gustarsi la vittoria solo dall’opposizione del consiglio comunale, mentre chi è in maggioranza annuncia: «Andremo avanti su questa linea contro una piaga sociale».
VICENZA Ci sono voluti cinque anni e chi aveva cominciato la «battaglia» ora può gustarsi la vittoria solo dai banchi dell’opposizione del consiglio comunale, mentre chi è in maggioranza annuncia: «Andremo avanti su questa linea, contro una piaga sociale». La lotta è quella alle slot machine e la vittoria, invece, è quella scritta da una sentenza del Consiglio di Stato che ribalta una precedente firmata dal Tar del Veneto sulle distanze minime da «luoghi sensibili» necessarie per aprire sale per il gioco d’azzardo.
Si deve tornare indietro al
2011, quando il sindaco Achille Variati emanò un regolamento che imponeva alle sale giochi l’apertura ad almeno
500 metri di distanza da punti sensibili, come scuole e altri posti frequentati da giovani, strutture sanitarie e luoghi di culto, poi rafforzato nel 2012 con una variante alle norme urbanistiche (che estendeva il divieto al centro storico e agli incroci stradali) per scoraggiare le persone a perdere soldi con le macchinette, rischiando che il gioco diventasse una malattia. Puntuale, a distanza di poco tempo, arrivò il ricorso di due società a cui il Tar veneto diede ragione. Nel
2013, infatti, il tribunale amministrativo di Venezia sentenziò che «gli strumenti pianificatori di contrasto alla ludopatia devono essere stabiliti a livello nazionale o essere inseriti nella pianificazione nazionale». Battuto, il Comune non si arrese e si appellò al Consiglio di Stato. E, a distanza di cinque anni, tutto cambia. Per le toghe romane di Palazzo Spade «risulta del tutto smentita l’affermazione del primo giudice» e nell’affermarlo si rifanno all’«evoluzione della giurisprudenza amministrativa» in materia di giochi.
Nel dettaglio, il Consiglio di Stato ha evidenziato (come riportato ieri dall’agenzia di stampa di giochi e scommesse Agipro) che i «limiti comunali posti nella materia in questione hanno finalità di carattere socio-sanitario», e quindi non sarebbe possibile sostenere «che il principio di libera iniziativa economica possa prevalere sulla tutela della salute».
La sentenza, che secondo l’assessore alle Attività produttive Silvio Giovine «è destinata a far scuola», come conseguenza farà rientrare in vigore a Vicenza il regolamento delle distanze delle sale slot dai «luoghi sensibili». E la nuova amministrazione comunale intende proseguire su questa strada: «Faremo subito un incontro con le strutture tecniche coinvolgendo anche la polizia locale, per fare le verifiche del caso – spiega Giovine –. Sono soddisfatto della sentenza, la ludopatia è una piaga sociale che aggredisce ogni categoria ad ogni età, e per questo va contrastata».
Soddisfazione è espressa anche da Raffaele Colombara, consigliere comunale che oggi è all’opposizione con la lista di centrosinistra «Quartieri al Centro» e che fu tra i primi a Vicenza a darsi da fare per far capire la pericolosità del gioco d’azzardo e a proporre misure di contenimento del fenomeno. «Questa sentenza è la conferma di una scelta pionieristica che la nostra amministrazione aveva, tra le prime, individuato per contrastare la diffusione senza regole del gioco d’azzardo – commenta Colombara –, facendo forza sul fatto che si trattasse di una questione sociale e sanitaria e non di sicurezza. Oggi la questione ha altre frontiere (la diffusione in tanti esercizi pubblici e soprattutto on-line), ma questo passaggio è il riconoscimento della bontà di un’importante battaglia su un tema che vede schizofrenicamente lo Stato incassare grazie ai giochi per spendere poi in cura, lasciando guadagnare pochi sulla pelle di tanti disperati».