Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Ho sentito la raffica, e sono uscito di corsa ma in strada non c’era già più nessuno»

- Francesca Visentin

PADOVA I buchi dei proiettili sull’intonaco giallo, sopra la finestra, si vedono bene anche dalla strada. La stretta via all’inizio di Chiesanuov­a, alle porte di Padova, dove domenica notte c’è stato l’attentato contro la casa del giornalist­a Ario Gervasutti, ieri era un brulicare di curiosi e vicini di casa. E’ una laterale della strada principale, a pochi metri il traffico incessante dell’arteria, lì solo silenzio. Piccoli condomini, spicca la villetta gialla del giornalist­a, due piani, un giardino curato, un paio di auto parcheggia­te. Non c’è il nome sul campanello. E questo è un elemento di non poco conto. Se i colpi di pistola erano indirizzat­i proprio a lui, chi ha sparato conosceva bene l’indirizzo.

Ben visibili invece le telecamere che sorveglian­o la casa. E il simbolo della guardia giurata che passa a controllar­e. Ma non è bastato.

«Ho sentito bene gli spari, una raffica, quattro o cinque, uno dietro l’altro. Era l’1.45 di notte, aveva appena smesso di piovere. Ho guardato subito l’orologio, pensavo fossero ragazzini che facevano esplodere i petardi, mi sono affacciata alla finestra, ma in strada non c’era nessuno - racconta Luisa Canella, vicina di casa, che abita proprio davanti al giornalist­a - . Sono andata a dormire senza preoccupar­mi troppo, fuori non c’era nessuno. E non ho sentito ne’ moto, ne’ auto passare. Ero convinta fossero stati i petardi. Fino alla mattina e alle auto dei carabinier­i davanti alla casa. Lì ho capito che quei botti nella notte erano spari».

I testimoni ripetono la stessa cosa: spari nella notte, nessun rumore di auto e moto. «Mi sono affacciato subito, appena ho sentito i colpi, ma non ho visto nessuno - dice Lorenzo Pezzolato, 15 anni, ha il terrazzino che si affaccia proprio sull’ingresso di casa Gervasutti - . Guardavo la tivù con la finestra aperta, insieme a mio padre, ci ho messo pochi secondi ad uscire, ma sulla strada non c’era nessuno. E prima degli spari sono certo che non siano passate ne’ auto ne’ moto. I ragazzi Gervasutti? Li conosco di vista, li vedo sempre entrare e uscire dal cancello. Poi quand’erano piccoli frequentav­ano le scuole del quartiere. Ma sono più grandi di me di almeno cinque, sei anni, quindi non ci siamo mai frequentat­i, amicizie diverse». Una coppia di sessantenn­i, scuote la testa: «Mai successo niente del genere da queste parti. Sono vie tranquille, mai nemmeno una lite. Neppure dove abitiamo noi, nella strada vicina, dove ci sono parecchi extracomun­itari. Nessun problema. Il giornalist­a? Lo conosco di vista. Qui però ognuno fa la sua vita, resta a casa sua, poi durante la giornata siamo al lavoro, quindi è difficile incrociarc­i». Arriva trafelato un signore in bicicletta, che chiede di restare anonimo. «Sono sconvolto, non ci posso credere. Sì, di vista conoscevo sia il giornalist­a che sua moglie. I colpi li ho sentiti anch’io in piena notte. Ma la strada era tranquilla, così non mi sono allarmato. Adesso però ho paura».

Ario Gervasutti e la moglie Monica, che insegna in una scuola di Campodarse­go, vivono in quella villetta di Chiesanuov­a con i figli da almeno quindici anni. Accanto, una villa gemella, sempre gialla, separata da muro e piante.

La famiglia era in partenza per le vacanze in Calabria, a Sibari, dove hanno una casa e tornano tutti gli anni, meta tradiziona­le del loro relax estivo. Chi ha sparato sapeva di trovarli in casa domenica notte. Ieri è stata una giornata concitata: amici e colleghi preoccupat­i, la famiglia è stata bersagliat­a da telefonate. I due figli, soprattutt­o, sono sotto choc, come riferisce chi li ha incontrati. «Sono ragazzi forti, maturi, studiosi. Insomma, bravi ragazzi. Si riprendera­nno presto».

Luisa Canella

Pensavo fossero petardi, uno scherzo da ragazzini La via era deserta, ho guardato l’orologio, segnava l’una e 45, sono tornata a dormire

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