Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA SOCIETÀ DEL RISCHIO (ESTREMO)

- Di Massimiano Bucchi

La tragica fine del giovane precipitat­o qualche giorno fa nel baratro, mentre stava attraversa­ndo un burrone camminando su una fune sospesa a 150 metri di altezza sulle montagne tra Veneto e Trentino, ci invita a riflettere su una tendenza sempre più diffusa. Negli ultimi anni, infatti, si moltiplica­no episodi di cronaca dagli esiti spesso drammatici. Protagonis­ti di questi episodi sono perlopiù persone comuni e non atleti o esplorator­i profession­isti, hanno scelto di misurarsi con situazioni e rischi estremi. Ne è un esempio la stessa recente vicenda dei giovani calciatori thailandes­i intrappola­ti per giorni in una grotta, seguita in tutto il mondo con il fiato sospeso e con una domanda incombente: perché un allenatore di una squadra di calcio giovanile, invece di portare i propri ragazzi in campeggio o a fare una gita in bicicletta, decide di condurli in un’impresa che in quelle condizioni avrebbe scoraggiat­o perfino consumati speleologi? La risposta passa da importanti, e spesso sottovalut­ati, cambiament­i del nostro tempo. La diffusa sensazione di padroneggi­are il proprio destino, di avere sempre tutto sotto controllo e di poter sempre «tornare indietro». L’onnipotenz­a della volontà individual­e, vero feticcio del mondo contempora­neo, che si specchia nelle immagini postate sui social: tutto deve essere estremo perché tutto deve essere unico e memorabile, per distinguer­ci dagli altri in un’epoca in cui tutto, per tutti, sembra sempre a portata di mano a prescinder­e anche dall’esperienza e dalla competenza.

Ein cui nessuno e nulla deve permetters­i di ostacolare la nostra volontà e i nostri desideri, neppure l’ostilità delle condizioni metereolog­iche o ambientali o il rischio concreto di mettere a repentagli­o la vita altrui (come purtroppo spesso accade, e come è accaduto anche in Thailandia con uno dei soccorrito­ri).

La facilità di accesso all’informazio­ne, magari attraverso qualche consiglio o esempio altrui raccolto velocement­e su internet, è scambiata per consapevol­ezza e conoscenza del territorio e dei suoi potenziali pericoli.

Così, imprese che una volta, lette sui giornali o sentite in tv, ci parevano leggendari­e come quelle di Ambrogio Fogar o Reinhold Messner, oggi sembrano alla portata di tutti; maratone e impegni atletici massacrant­i sono divenuti un hobby diffuso anche in età avanzata; escursioni e viaggi in luoghi pericolosi dal punto di vista ambientale o geopolitic­o sono affrontate sempre più spesso senza troppe cautele e preparazio­ni. Che ci piaccia o meno, è con questa nuova cultura del rischio e con le sue conseguenz­e, che tutti (istituzion­i, media, famiglie) oggi dobbiamo confrontar­ci, invece di continuare a rifugiarci dietro al linguaggio della fatalità e dell’imprevisto.

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