Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LA SOCIETÀ DEL RISCHIO (ESTREMO)
La tragica fine del giovane precipitato qualche giorno fa nel baratro, mentre stava attraversando un burrone camminando su una fune sospesa a 150 metri di altezza sulle montagne tra Veneto e Trentino, ci invita a riflettere su una tendenza sempre più diffusa. Negli ultimi anni, infatti, si moltiplicano episodi di cronaca dagli esiti spesso drammatici. Protagonisti di questi episodi sono perlopiù persone comuni e non atleti o esploratori professionisti, hanno scelto di misurarsi con situazioni e rischi estremi. Ne è un esempio la stessa recente vicenda dei giovani calciatori thailandesi intrappolati per giorni in una grotta, seguita in tutto il mondo con il fiato sospeso e con una domanda incombente: perché un allenatore di una squadra di calcio giovanile, invece di portare i propri ragazzi in campeggio o a fare una gita in bicicletta, decide di condurli in un’impresa che in quelle condizioni avrebbe scoraggiato perfino consumati speleologi? La risposta passa da importanti, e spesso sottovalutati, cambiamenti del nostro tempo. La diffusa sensazione di padroneggiare il proprio destino, di avere sempre tutto sotto controllo e di poter sempre «tornare indietro». L’onnipotenza della volontà individuale, vero feticcio del mondo contemporaneo, che si specchia nelle immagini postate sui social: tutto deve essere estremo perché tutto deve essere unico e memorabile, per distinguerci dagli altri in un’epoca in cui tutto, per tutti, sembra sempre a portata di mano a prescindere anche dall’esperienza e dalla competenza.
Ein cui nessuno e nulla deve permettersi di ostacolare la nostra volontà e i nostri desideri, neppure l’ostilità delle condizioni metereologiche o ambientali o il rischio concreto di mettere a repentaglio la vita altrui (come purtroppo spesso accade, e come è accaduto anche in Thailandia con uno dei soccorritori).
La facilità di accesso all’informazione, magari attraverso qualche consiglio o esempio altrui raccolto velocemente su internet, è scambiata per consapevolezza e conoscenza del territorio e dei suoi potenziali pericoli.
Così, imprese che una volta, lette sui giornali o sentite in tv, ci parevano leggendarie come quelle di Ambrogio Fogar o Reinhold Messner, oggi sembrano alla portata di tutti; maratone e impegni atletici massacranti sono divenuti un hobby diffuso anche in età avanzata; escursioni e viaggi in luoghi pericolosi dal punto di vista ambientale o geopolitico sono affrontate sempre più spesso senza troppe cautele e preparazioni. Che ci piaccia o meno, è con questa nuova cultura del rischio e con le sue conseguenze, che tutti (istituzioni, media, famiglie) oggi dobbiamo confrontarci, invece di continuare a rifugiarci dietro al linguaggio della fatalità e dell’imprevisto.