Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Addio a Valmarana custode della grandezza della «Rotonda»
Spese una vita (e una fortuna) per la villa capolavoro di Palladio
VICENZA Era come un manifesto all’ingresso della Rotonda: un cartello sobrio, poche righe chiarissime: «I restauri di questa villa sono finanziati esclusivamente dai proprietari». Se lo ricordano bene i vicentini nelle loro passeggiate lungo la stradina angusta, nata a misura di carrozza. E i primi turisti ammessi soltanto dal 1986 in poi. Ma quell’avviso, provocatorio, era insieme l’orgoglio, la constatazione e la protesta di Lodovico Valmarana, allora proprietario della villa assieme al fratello Mario. Un amore totale e una dedizione speciale per quella casa che lo è solo alla fine: perché prima è monumento, esempio massimo della rivoluzione di Palladio, depositaria di una fama mondiale. Insomma, la Rotonda è unica. Ma per i Valmarana anche una casa.
«Era messa male»
Ha raccontato il conte Lodovico, scomparso venerdì a 92 anni a palazzo Corner Valmarana a San Marco, Venezia: «Mio padre Andrea la comprò nel 1912. Era messa male, niente mobili né servizi. Fu mia madre a imporsi: o viviamo qui o della Rotonda non ne parliamo più. Lui accettò». Lodovico ci cresce, gioca nei giardini: «L’ho sempre sentita come un’abitazione». Crescendo, assieme all’aria di casa i fratelli Valmarana sentono la responsabilità: sarà anche un simbolo mondiale, ma i quattrocento anni si fanno sentire. E nel 1976 cominciano i lavori di restauro: si parte dalle coperture, si continua con gli interni, poi gli intonaci. Una bella boccata d’ossigeno arriva nel ‘79 dal regista Joseph Losey, che gira sulle scalinate alcune scene del suo «Don Giovanni» e paga la location. E tutti hanno ancora nella memoria, di quel film, Leporello che intona il catalogo delle madame. Numeri, numeri, come quelli che il conte Lodovico non si toglie dalla testa. Perché è convinto che, sì, la Rotonda è sua, ma è un bene del mondo. Arriverà infatti nel 1994 la decisione dell’Unesco, che la dichiara Patrimonio dell’Umanità, la villa da sola, avanguardia dell’allargamento alle altre ville palladiane.
Ci tengono, i Valmarana. E ci investono per anni praticamente senza aiuti. Un paio di mutui vengono concessi dall’Istituto Ville Venete, e ci mancherebbe, ma quei denari vanno restituiti. Il Comune di Vicenza guarda, plaude, ma non scuce una lira prima né un euro poi. In compenso manda i vigili ad appioppare multe alle auto dei turisti che intasano le adiacenze, perché – chissà come mai – Palladio non aveva previsto un parcheggio. Chi si ricorda della Rotonda è la Banca Popolare di Vicenza. Prima del Gran Disastro, nel 2008, Gianni Zonin eroga un contributo di 110 mila euro, su una spesa di 300 mila, per il restauro delle decorazioni della cupola. In quegli anni si conclude anche il restauro conservativo delle barchesse.
Una missione
Il conte Lodovico non si ferma, per lui è una missione. E non è senza significato che suo fratello Mario sia stato docente di architettura all’Università della Virginia, la stessa fondata da Thomas Jefferson che fu il mentore di Palladio negli Stati Uniti. Si coglie, forse per la prima volta nella storia della Rotonda, l’identificazione totale tra proprietari ed edificio. Il quale edificio non è solo un biglietto da visita, un’abitazione di rappresentanza «senza funzione». La Rotonda diventa un pezzo tangibile dei Quattro Libri dell’Architettura, un libro fisico che dà corpo a un’idea, si fa percorrere, vivere, respirare. Goethe la vede nel 1786 e ne coglie grandezza e significato: è stata costruita «per lasciare ai discendenti un grandioso fedecommesso e insieme un segno tangibile della propria ricchezza». Però, aggiunge il poeta viaggiatore, «l’interno si può definire abitabile ma non accogliente. Le stanze sono inadeguate al soggiorno estivo di una famiglia signorile». La Rotonda poco vivibile? «Macchè - diceva Lodovico – abbiamo restaurato tutto il piano sotto le scalinate e ci si sta benissimo». Sull’ospitalità, poi, basta fare l’elenco di personaggi famosi, teste coronate, artisti, studiosi che sono passati di lì, ospitati benissimo. Edoardo VIII, ex re, arrivò nel ‘36 con la moglie Wallis Simpson, si fermò a pranzo e poi anche a cena. Lodovico aveva dieci anni, ma si ricordava tutto: era geloso non tanto della villa, ma del suo prestigio. La regina madre inglese venne accolta con un mazzolino di fiori, appena scesa dalla sua Jaguar d’epoca color melanzana. Ci vollero i buoni uffici del marchese Boso Roi per fargli accogliere nel 1991 un concerto organizzato dalla Provincia: ma dirigeva Peter Maag con l’orchestra Filarmonia Veneta e si suonava Mozart. Vennero tremila persone, tutte assiepate sui prati, e fu un successo.
Orgoglio e nobiltà
Lui, Lodovico, non aveva certo problemi in quanto a quarti di nobiltà: il titolo di conte era stato conferito nel 1031 dall’imperatore Corrado, nel 1540 Carlo V assegna anche il titolo di conti palatini di Nogara, nel 1658 un ramo della famiglia è ascritto al patriziato veneto, anche se per soldo, centomila ducati versati per la guerra di Candia. Niente, tutta questa nobiltà nulla ha potuto nella guerra per le royalties. La Zecca di Stato conia monete d’oro e d’argento con l’effigie della Rotonda? Non chiede permessi, non paga diritti. Lodovico, conte diretto e quasi rustego, combatte per la sua Fondazione che finanzia tutto. L’ente di promozione VicenzaE’ s’inventa un orologio impreziosito dalla Rotonda? «Non mi hanno detto nulla, e non pagano nulla». La Rotonda è una meraviglia, ma sono altri a goderne i frutti. Un caro amico agronomo segue la coltivazione dei terreni che circondano la villa. Ha l’idea di «colorare» di anno in anno il panorama, cambiando le coltivazioni. Quando arriva la colza, è una stupenda esplosione di giallo, arrivano fotografi da tutto il mondo, la Rotonda finisce ancora di più sui giornali e sul web. «E nemmeno una royalty», s’imbufalisce il conte, e allora stop ai colori. D’altra parte mantenere la Rotonda – così come le altre ville venete, che son quasi quattromila – con dignità e compromessi accettabili, non è facile. Fino all’ultimo il conte Lodovico è rimasto orgoglioso e pieno di idee perfino visionarie: opere d’arte al centro della Rotonda, voleva inviare Macron e magari anche Trump. I suoi 92 anni sono stati vissuti per la Rotonda. Per fortuna sua e nostra.