Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I due volti dell’assassino «Uomo pacato e generoso» «Era diventato cupo e schivo»
TRISSINO Giancarlo Rigon non avrebbe riferito nulla a casa, alla compagna, di quel debito che era convinto di vantare dai Faggion, e forse quel tenersi tutto dentro, quella rabbia sopita, lo hanno portato alla follia omicida. «Non mi ha mai detto nulla che riguardasse il lavoro, non me ne aveva parlato della questione aperta con l’altra famiglia di ex orafi» racconta, affranta, la convivente, Lucia, nell’abitazione di via Sant’Antonio, con a fianco la vecchia azienda di preziosi con sbarre alle finestre e telecamere, quella che il 59enne aveva chiuso una quindicina di anni fa, complice la crisi. La stessa abitazione
” Lucia (la compagna) Con me non parlava delle questioni di lavoro
in cui venerdì i carabinieri hanno rinvenuto e sequestrato altre due pistole, oltre a quella del delitto, probabilmente la stessa del suicidio, che verrà sottoposta ad accertamenti tecnici. Tutte armi che l’ex orafo – con porto d’armi per uso sportivo - usava per esercitarsi al poligono di tiro di Lonigo. Ma venerdì ha mirato ad una persona, quella che avrebbe tediato per anni, pur senza essere denunciato. «Era un uomo pacato e generoso, non faceva vita di eccessi, con grandi spese, e non l’abbiamo mai sentito lamentarsi dei soldi» raccontano i vicini e gli amici del bar. Qualcuno riferisce anche che di recente Rigon aveva scelto una vita ancora più riservata, tra casa sua e della suocera, evitando anche la consueta cena della via. Di certo aveva tenuto per sé di quell’agguato che aveva pensato di tendere ad Enrico Faggion, forse anche il progetto di ucciderlo, sempre che lo avesse premeditato ma è quanto fa supporre il fatto che avesse la pistola con sé. Non avrebbe riservato alcuna parola particolare per la compagna, nessuna espressione che potesse assumere un senso anche solo in seguito. Ma l’ex imprenditore potrebbe aver maturato l’inquietante idea di farla finita solo dopo il delitto, cosciente che i carabinieri lo avrebbero identificato anche solo attraverso l’auto e lo avrebbero trovato. Lui era l’unico, assieme alla vittima, che avrebbe potuto spiegare i contorni di una vicenda lunga almeno una decina di anni. Tutto cancellato in pochi istanti, ma non le tracce di sangue lasciate sull’asfalto di via Nazario Sauro, lì dove amici, colleghi di lavoro, della squadra di basket locale dove Faggion era cresciuto come «squalo», hanno lasciato dei fiori. Quelle macchie rimarranno indelebili nella memoria e si pensa già ad una targa in sua memoria.