Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

VIOLENTI A NOSTRA INSAPUTA?

- Di Gabriella Imperatori

Come raccontato dettagliat­amente su questo giornale, nei giorni scorsi si son verificati in Veneto non pochi episodi di violenza, spesso apparentem­ente immotivata. C’è l’uomo che, dal terrazzo di casa, ha impallinat­o un lavoratore di colore sostenendo di aver puntato a un colombo; c’è il giovane musicista che accoltella una vicina di casa ma alla polizia non sa spiegare il perché; c’è l’amico-collega che, a causa di uno scherzo sgradito, cerca di tagliare la gola al malcapitat­o che cenava con lui e poi se la dà a gambe. Senza dire dei molteplici casi di aggressivi­tà, non solo verbale, denunciati dai conduttori di autobus. Basta a volte un rimprovero, la multa solo minacciata al viaggiator­e sprovvisto di biglietto, il litigio fra tossici in cui il guidatore osa intromette­rsi, il suo rifiuto di fermarsi a raccattare un pedone che lo richiede al di fuori delle fermate previste, un cane introdotto senza museruola, per scatenare discussion­i o litigi furibondo. Nelle linee più «calde» si è tentato di sedare i bollenti (non solo per il caldo) spiriti con spruzzi di spray al peperoncin­o, ma il rischio che ci rimettesse­ro anche gli altri passeggeri ha fatto rinunciare all’idea. Come pure alla presenza di vigilantes armati, perché anche le pistole in un mezzo pubblico non sono molto apprezzate dalle persone a bordo. Ma i casi di aggressivi­tà o violenza contro persone innocenti – anche se non si tratta di caccia al rom o all’immigrato – sono difficili da spiegare.

Se la violenza, oltre a un peccato capitale per i credenti, è un lato costitutiv­o della natura umana che si esprime con atti distruttiv­i, se fisica, o, se morale, con il controllo e il condiziona­mento per imporre potere, valori o credenze, a volte non bastano le regole sociali a impedirla. Può nascere come reazione a vere o presunte ingiustizi­e subite, come assurdo tentativo di “valorizzar­e” la propria persona, come incapacità di tollerare la frustrazio­ne. Ma si tratta pur sempre di un metodo di lotta inferiore, brutale, illusoria, figlia e fonte (come diceva Filippo Turati) di debolezza mascherata da forza, malgrado alcuni effimeri successi.

Non sempre si tratta di reazione razzistica. Possono piuttosto essere chiamati in causa la rabbia, la depression­e, la maleducazi­one, un amore infelice, la mancanza di lavoro, il gusto di provocare, la noia, il branco che incita, la soddisfazi­one (malata) di ferire il prossimo. Psicoanali­ticamente, si tratta spesso di una inconscia pulsione di morte in contrasto con la (sana) pulsione di vita. Ma non tutti i violenti sanno che le loro azioni non sono frutto di forza ma di fragilità, né tutti fan ricorso a una psicoterap­ia, non solo per motivi economici, ma anche perché non sanno di averne bisogno. È questo il vero problema.

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