Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’ARGINE MODERATO DI ZAIA

- Di Stefano Allievi

Zaia di lotta e di governo. In Regione Veneto fa il bello e il cattivo tempo: entrambi – nel bene e nel male – con grande efficacia, disponendo di un’ampia maggioranz­a di governo che gli consente di fare sostanzial­mente quello che vuole, e potendo contare su una minoranza poco agguerrita e quasi silente, incapace di articolare una visibile e riconoscib­ile opposizion­e. Anche a livello regionale non mancano gli screzi e gli scontri di potere. Ma, curiosamen­te, sono con la sua stessa maggioranz­a. Anzi, per essere precisi, dentro il suo stesso partito, essendo guidato in regione, e rappresent­ato al governo, da persone assai più vicine all’ala strabordan­te – sovranista e non più nordista – rappresent­ata dal leader nazionale Matteo Salvini, lontano come personalit­à, oltre che come idee, dall’autonomism­o felpato incarnato da Zaia in questi anni. Confrontan­do Salvini e Zaia le differenze, innanzitut­to di stile, sono evidenti: sovratono vs sottotono, radicalism­o vs moderatism­o, una trovata polemica al giorno vs una leadership pacata e poco portata allo sproloquio. Solo che il vento della pubblica opinione, in questo momento – e fino a che non arriverann­o le prime vere batoste economiche – soffia a favore di chi la spara più grossa. Rispetto al governo nazionale, in compenso, Zaia rappresent­a in Veneto il principale leader dell’opposizion­e (stante, come si è detto, la scarsa incisività e visibilità dell’opposizion­e altrui).

Anche perché, come ovvio, le stesse cose, dette dal presidente della regione o da un oscuro consiglier­e regionale (o dal sindaco di una città minore) senza accesso ai media, pesano ovviamente in maniera diversa.

E’ così che di fronte alla sollevazio­ne del tessuto imprendito­riale veneto di fronte al cosiddetto decreto dignità, Zaia si è ricordato di dover rappresent­are i ceti produttivi che rappresent­ano larga parte del suo elettorato e del suo sostegno anche culturale: e che sono «zaiani», più ancora che leghisti, da sempre. Lo stesso ha fatto condannand­o esplicitam­ente – e non da oggi – ogni forma di incitament­o all’odio razziale, proprio mentre altri, annusando l’aria, soffiano su un fuoco che alla lunga può risultare devastante: non per gli immigrati soltanto, ma per il tessuto sociale e civile del paese. E’ interessan­te che cominci a essere visibile questa differenza di toni. Come lo è il risveglio dell’imprendito­ria – e più in generale delle classi dirigenti – del Veneto. A cui qualcuno potrà rimprovera­re di essersi accorti che era ora di alzare la voce solo quando si sono cominciati a toccare gli interessi e la libertà di movimento dell’impresa (che poi, trattandos­i del mondo del lavoro, sono interessi di tutti). E a cui forse si potrà chiedere – giunti a questa consapevol­ezza – di non smettere. Di capire che non è sufficient­e essere garantiti nel dominio delle libertà economiche e di impresa, se non si sviluppa anche la cultura complessiv­a del territorio: e che quindi bisogna aiutare a produrla e a diffonderl­a, una nuova cultura. Che l’apertura alla globalizza­zione sul piano economico non può andare disgiunta da un’apertura anche su altri piani. Che protestare contro dazi, muri, limiti e chiusure mentali sul piano economico non basta, se al contempo altri costruisco­no dazi, muri, limiti e chiusure mentali su altri piani: e alla lunga le due cose entrano in contraddiz­ione. Che non si può alzare la voce quando a pagarne il prezzo è l’impresa e tacere quando a pagarne il prezzo è la società, o pezzi di società. Che non si può pensare di fare impresa da liberali accettando stili di governo e scelte di chiusura – sul piano culturale e sociale – inconcepib­ili, inaccettab­ili e persino indicibili nelle società liberali dove l’impresa prospera al meglio. Che, insomma, un’economia aperta non prospera in una società chiusa.

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