Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
L’ARGINE MODERATO DI ZAIA
Zaia di lotta e di governo. In Regione Veneto fa il bello e il cattivo tempo: entrambi – nel bene e nel male – con grande efficacia, disponendo di un’ampia maggioranza di governo che gli consente di fare sostanzialmente quello che vuole, e potendo contare su una minoranza poco agguerrita e quasi silente, incapace di articolare una visibile e riconoscibile opposizione. Anche a livello regionale non mancano gli screzi e gli scontri di potere. Ma, curiosamente, sono con la sua stessa maggioranza. Anzi, per essere precisi, dentro il suo stesso partito, essendo guidato in regione, e rappresentato al governo, da persone assai più vicine all’ala strabordante – sovranista e non più nordista – rappresentata dal leader nazionale Matteo Salvini, lontano come personalità, oltre che come idee, dall’autonomismo felpato incarnato da Zaia in questi anni. Confrontando Salvini e Zaia le differenze, innanzitutto di stile, sono evidenti: sovratono vs sottotono, radicalismo vs moderatismo, una trovata polemica al giorno vs una leadership pacata e poco portata allo sproloquio. Solo che il vento della pubblica opinione, in questo momento – e fino a che non arriveranno le prime vere batoste economiche – soffia a favore di chi la spara più grossa. Rispetto al governo nazionale, in compenso, Zaia rappresenta in Veneto il principale leader dell’opposizione (stante, come si è detto, la scarsa incisività e visibilità dell’opposizione altrui).
Anche perché, come ovvio, le stesse cose, dette dal presidente della regione o da un oscuro consigliere regionale (o dal sindaco di una città minore) senza accesso ai media, pesano ovviamente in maniera diversa.
E’ così che di fronte alla sollevazione del tessuto imprenditoriale veneto di fronte al cosiddetto decreto dignità, Zaia si è ricordato di dover rappresentare i ceti produttivi che rappresentano larga parte del suo elettorato e del suo sostegno anche culturale: e che sono «zaiani», più ancora che leghisti, da sempre. Lo stesso ha fatto condannando esplicitamente – e non da oggi – ogni forma di incitamento all’odio razziale, proprio mentre altri, annusando l’aria, soffiano su un fuoco che alla lunga può risultare devastante: non per gli immigrati soltanto, ma per il tessuto sociale e civile del paese. E’ interessante che cominci a essere visibile questa differenza di toni. Come lo è il risveglio dell’imprenditoria – e più in generale delle classi dirigenti – del Veneto. A cui qualcuno potrà rimproverare di essersi accorti che era ora di alzare la voce solo quando si sono cominciati a toccare gli interessi e la libertà di movimento dell’impresa (che poi, trattandosi del mondo del lavoro, sono interessi di tutti). E a cui forse si potrà chiedere – giunti a questa consapevolezza – di non smettere. Di capire che non è sufficiente essere garantiti nel dominio delle libertà economiche e di impresa, se non si sviluppa anche la cultura complessiva del territorio: e che quindi bisogna aiutare a produrla e a diffonderla, una nuova cultura. Che l’apertura alla globalizzazione sul piano economico non può andare disgiunta da un’apertura anche su altri piani. Che protestare contro dazi, muri, limiti e chiusure mentali sul piano economico non basta, se al contempo altri costruiscono dazi, muri, limiti e chiusure mentali su altri piani: e alla lunga le due cose entrano in contraddizione. Che non si può alzare la voce quando a pagarne il prezzo è l’impresa e tacere quando a pagarne il prezzo è la società, o pezzi di società. Che non si può pensare di fare impresa da liberali accettando stili di governo e scelte di chiusura – sul piano culturale e sociale – inconcepibili, inaccettabili e persino indicibili nelle società liberali dove l’impresa prospera al meglio. Che, insomma, un’economia aperta non prospera in una società chiusa.