Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La città raccolta per dare l’ultimo saluto
C’era quella culturale, sì, della Marsilio, del mondo dell’editoria, della stampa. Ma c’era soprattutto una Venezia numerosa.
Sono come una tribù. Riempiono le prime file della Basilica. Sono tanti, sono simili, i De Michelis. Lo stesso naso, il taglio del volto. Colpiscono gli occhi; da giovani, sono pieni di desiderio, e poi diventano sempre più acuti con l’età. Intorno, altre tribù, altre famiglie. C’era quella culturale, sì, della Marsilio, del mondo dell’editoria, della stampa. Ma c’era soprattutto una Venezia numerosa, fatta di amici, lontani compagni di classe, qualche studente, quello che non è mai riuscito a pubblicare un libro, completi neri e magliette dozzinali, destra e sinistra, ipocrisie, affetti profondi. È come se tutta Venezia si fosse data appuntamento, per celebrare uno dei suoi; non solo l’intellettuale, ma anche quello che non era un campione a giocare a calcio (come si narra). La luce veniva da dietro l’altare, fresca. Così la bara, semplice. C’era qualcosa di nordico, qualcosa di efficace, nel rito valdese, nella pulizia delle parole. Già, le parole. Quante parole. Etica, senso del dovere, fedeltà, speranza, idee, visione, ironia, contraddizioni, scontri. Parole cristiane, come la risurrezione. Parole novecentesche, come l’impegno. Parole immortali, come lo sono i maestri, la famiglia, l’amore coniugale. È stata una cerimonia più coinvolgente che commuovente. Più esigente che accondiscendente. L’ultimo atto di De Michelis, in fondo, è stato come lui, scabro e profondo. È stato radunare Venezia, questa città zoppa, invecchiata. Eppure, a entrare in quella chiesa, a sentire chi ha parlato, a vedere i volti, i capelli, la serenità, la consapevolezza, era da pensare che esiste ancora, Venezia, che esiste sempre, il futuro. Cesare De Michelis, in fondo, ci lascia il senso di Venezia, quello che non ha tempo; l’impresa e la cultura, i libri e le parole, la provocazione e l’efficacia, l’ironia e la furbizia, Goldoni e Marco Polo, l’essere eccentrici e, insieme, centrali. La necessità di visioni complesse, totali, coraggiose. Nuove. Di avere intuizioni, di cercare le persone giuste per migliorarsi. Vale per tutte le città, non solo per Venezia. Vale, in fondo, per qualunque vita, per qualunque scelta.