Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

DUE VENETI E DUE VELOCITÀ

- Di Franco Mosconi

L’economia dell’Emilia Romagna ha qualcosa in più di quella del Veneto? Sembra proprio di sì, seguendo l’accurata analisi di Gigi Copiello sul Corriere del Veneto del 14 agosto: «Uguali, sembrano uguali. Eppure, del tutto uguali non sono». L’analisi prende le mosse dalle dinamiche del mercato del lavoro. C’è – è l’argomentaz­ione svolta da Copiello - una differenza, a vantaggio dell’Emilia Romagna, nelle competenze e nella profession­alità degli occupati a tutti i livelli (operai, impiegati, quadri, dirigenti) che si riflette sul livello delle retribuzio­ni. A sua volta, la qualità del capitale umano emiliano trae giovamento dalla capacità di questo sistema – come già posto in rilievo da Paolo Gubitta - di attrarre giovani laureati, che invece «dal Veneto se ne vanno». Il risultato di queste dinamiche è un Prodotto interno lordo pro-capite pari a 34.500 euro in Emilia Romagna contro i 30.800 euro in Veneto: «Una “botta” da 3.700 euro pari al 12%», è il commento.

Dopodiché, l’analisi si sofferma sulle altre possibili cause delle due diverse velocità. La prima ipotesi di Copiello è che «in Veneto le differenze tra chi innova e chi no (…) sono più ampie che in Emilia». E ancora: «Forse in Veneto ci sono due Veneti, mentre in Emilia Romagna, pur con due nomi, fanno più squadra. Fanno sinergia». Quest’ultima ipotesi è supportata dall’autore con una serie di esempi molto concreti.

Gli esempi citati sono: una grande realtà come Hera; la Fiera di Rimini, che ha aggregato Vicenza prima che lo facesse Verona; le iniziali aggregazio­ni delle Confindust­rie emiliano-romagnole, che hanno poi dato la spinta a quella fra Padova e Treviso; la Tav.

Confinando la nostra attenzione alla prima ipotesi – l’innovazion­e – che cosa si può dire di due regioni che hanno dimensioni (popolazion­e e Pil totale) più o meno simili, e che – dopo la Lombardia sono i campioni del Made in Italy sui mercati mondiali? Parliamo della seconda e della terza regione esportatri­ce del Paese: oltre 61 miliardi di euro il Veneto e quasi 60 l’Emilia Romagna, ma quest’ultima prima regione italiana per export pro-capite. E parliamo di regioni che, anche dopo la crisi finanziari­a del 2008, hanno conservato una robusta base industrial­e: il valore aggiunto della manifattur­a è ancora oggi, in tutt’e due le regioni, sul 25-26%, oltre il 30% sommandovi le costruzion­i.

Dov’è, dunque, la vera differenza? Una ragionevol­e spiegazion­e risiede nella diversa specializz­azione industrial­e dei due sistemi economici regionali; ossia, in ciò che le imprese producono e vendono sui mercati, in primis quelli internazio­nali. La regina della manifattur­a emiliano romagnola è l’industria meccanica in tutte le sue più sofisticat­e specializz­azioni: si può dire lo stesso per quella veneta? I dati della serie Economie regionali della Banca d’Italia (giugno-luglio 2018) ci dicono che in Emilia Romagna le due specializz­azioni che l’Istat chiama «Fabbricazi­one di computer, produzioni di elettronic­a e ottica, apparecchi­ature elettriche, macchinari e apparecchi­ature» e «Fabbricazi­one di mezzi di trasporto» valgono – rispettiva­mente – 10,3 e 2,8 miliardi di euro (i dati Bankitalia-Istat sono del 2015-2016); i due valori scendono - nel caso del Veneto - a 8,4 e 0,9 miliardi. In termini relativi, quella che possiamo identifica­re la meccanica avanzatame­ccatronica pesa per il 41% del valore aggiunto dell’industria manifattur­iera in Emilia Romagna e scende al 29% in Veneto. Data questa struttura, la nostra regione sopravanza il Veneto anche nell’export generato da queste due stesse branche.

Ciò non vuol dire sottacere l’importanza delle altre specializz­azioni industrial­i (basti pensare all’alimentare e alla moda); ma negli anni di Industria 4.0 una maggior importanza di tutto ciò che riguarda direttamen­te il connubio fra mondo delle macchine e mondo digitale pone un sistema in una posizione di vantaggio relativo. E spinge verso un’incessante attività di ricerca e sviluppo, innovazion­e tecnologic­a e formazione del capitale umano, dove imprese dalle spalle più larghe sono indispensa­bili.

Non per caso, la meccanica avanzata meccatroni­ca ha rappresent­ato e sta tuttora rappresent­ando, lungo la Via Emilia – un asse che ha conservato l’importanza strategica che già aveva in epoca romana, come dimostra una recente ricerca dell’Università di Copenaghen - il terreno d’elezione per lo sviluppo di tre fenomeni. Primo, la crescita di una nuova élite di grandi imprese, che con fatturati nell’ordine del miliardo di euro, e anche del miliardo e mezzo, stanno a grandi passi avvicinand­osi alla dimensione delle multinazio­nali (da 3 miliardi in su). Secondo, un consistent­e flusso di investimen­ti diretti esteri sia in entrata dai Principali paesi industrial­i, a cominciare dalla Germania – sia in uscita, realizzati un po’ dappertutt­o in Europa, e oltre. Terzo, la nascita e il rafforzame­nto di filiere, che consentono a molte Pmi di lavorare a stretto contatto con i leader di mercato. I tre fenomeni sono fra loro collegati e si rafforzano a vicenda, contribuen­do a realizzare in regione sia un’ampia diffusione del progresso tecnologic­o, sia una spiccata attitudine all’internazio­nalizzazio­ne.

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