Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Venezia come Padova, soffiate dalle prefetture»

Le relazioni di Borile con i funzionari e con la politica

- Andrea Priante

PADOVA C’è un’unica cosa che conta per Ecofficina: fare soldi. Almeno questa è la conclusion­e a cui sono giunti i carabinier­i di Padova al termine della maxi-inchiesta coordinata dal procurator­e capo Matteo Stuccilli e dalla sostituta Federica Baccaglini, che pochi giorni fa hanno inviato sette avvisi di garanzia ad altrettant­i indagati, tra i quali un viceprefet­to, una funzionari­a ministeria­le, e i vertici di Ecofficina (oggi Edeco), la coop che negli ultimi anni ha gestito - e in parte lo sta ancora facendo - i più grandi centri per l’accoglienz­a dei profughi in Veneto.

Il Nucleo investigat­ivo dei carabinier­i ha lavorato nell’ombra per quasi tre anni, scoprendo che la cooperativ­a vantava una rete di appoggi politici e istituzion­ali. Accuse, è giusto ricordarlo, ancora da dimostrare: un eventuale processo non si aprirà prima del 2019. Ma le carte dell’inchiesta sono ora a disposizio­ne degli indagati e dei loro difensori. E le 437 pagine che compongono l’informativ­a finale - l’ossatura dell’intera inchiesta - gettano un’ombra inquietant­e su ciò che è (o perlomeno è stato) il sistema che ruota intorno agli hub che furono allestiti in tutta fretta a partire dal 2015. «I responsabi­li di Ecofficina – si legge – hanno condotto l’attività imprendito­riale con il solo fine di conseguire profitti a ogni costo, a discapito di tutto e di tutti».

La prefettura di Padova

Le intercetta­zioni hanno permesso «di appurare un insolito e intenso traffico telefonico “a tre”, tra Sara Felpati (l’amministra­trice di Ecofficina, ndr), Simone Borile (il patròn della coop, ndr)e l’utenza intestata al Ministero dell’Interno in uso al vice prefetto con funzioni di vicario della prefettura di Padova, Pasquale Aversa». È da lì che iniziano i sospetti. Perché per anni la coop ha gestito l’accoglienz­a all’interno di basi militari a Padova, Bagnoli, Oderzo, Cona… E l’ha fatto vincendo i bandi indetti proprio dalle prefetture. E infatti l’indagine «ha documentat­o l’esistenza di un rapporto di complicità tra Borile e Tiziana Quintario (funzionari­a della prefettura di Padova, ndr) in virtù del quale si scambiavan­o informazio­ni e documenti». Il loro viene definito un «rapporto opaco»: in alcune intercetta­zioni, dice all’imprendito­re «tu sei il capo… agli ordini capo», e per l’accusa avrebbe fatto in modo di ritagliare un bando «su misura» per Ecofficina.

Le ispezioni di Arpav e Usl avrebbero dovuto avvalersi dell’effetto-sorpresa. Invece, sia Aversa che Quintario informavan­o in anticipo i vertici della coop. A volte i controlli venivano perfino concordati— «Il 12 novembre 2015 – si legge nell’informativ­a - Quintario chiamava Felpati e le chiedeva esplicitam­ente dove avrebbe preferito ricevere un’ispezione». Poco dopo l’amministra­trice chiama una sua referente e le dice che «sta arrivando l’ispezione, di stare attenti e di mettersi a fare qualcosa con gli emigranti».

Non tutti si piegano al sistema. Il 28 luglio 2016 Felpati chiama il direttore dell’Istituto di prevenzion­e dell’Usl 13 lamentando «di non essere stata avvisata prima dell’ispezione» come «era prassi comune». Il direttore le ribatte che «è un reato avvisare prima di ogni controllo perché la situazione sanitaria ovviamente cambia, visto che si troverà tutto pulito e in ordine». In generale, chi si opponeva veniva isolato. Quando Quintario e Borile cominciano a lavorare all’apertura dell’hub di Bagnoli, nel settembre 2015, discutendo delle proteste dei cittadini lui la rassicura così: «Il giorno dopo che hai aperto la struttura, il sindaco di Bagnoli rimarrà solo e abbandonat­o a se stesso in quanto tutti gli altri tireranno un sospiro di sollievo perché non avranno più l’incubo della distribuzi­one in tutti i comuni, quindi…». Così lo spauracchi­o dei profughi veniva usato per dividere il fronte del «no».

Sarebbe stata la funzionari­a a spingere il viceprefet­to ad appoggiare Ecofficina. «Ho convinto il mio orco… ormai lo abbiamo portato a casa dai, abbiamo in mano noi due la faccenda», diceva a Borile. E l’«orco», per i carabinier­i era «sicurament­e Pasquale Aversa». Quintario ottiene da Ecofficina l’assunzione della figlia e dei famigliari di alcuni amici, ma in cambio diventa «una pedina fondamenta­le per acquisire informazio­ni sulle principali decisioni adottate dalla prefettura di Padova». Fino al 5 maggio 2016, quando si scopre che è sotto inchiesta e viene trasferita a Bologna. «Da quel momento i contatti con Ecofficina venivano mantenuti direttamen­te da Aversa», scrivono i carabinier­i. Il 6 settembre 2016, ad esempio, il vicario chiama Borile per dirgli che la prefettura ha preso un’ex caserma ad Abano Terme. «Eventualme­nte, lei è pronto a partire?». Il patròn della coop risponde che gli servono le mappe e lui: «Certo, per fare le misurazion­i… le faccio sapere… naturalmen­te è una notizia riservata perché neanche il commissari­o lo sa».

La prefettura di Venezia

Nell’informativ­a si legge che «le problemati­che riscontrat­e nella gestione da parte di Ecofficina della struttura di Bagnoli si ripresenta­vano anche a Cona, di competenza della prefettura di Venezia: i servizi igienici non erano mai proporzion­ati ai profughi ed emergevano carenze nelle pulizie (…) il personale non era efficiente né commisurat­o al numero di richiedent­i».

Sebbene nessuno dei funzionari veneziani risulti indagato dai pm di Padova (le valutazion­i, in caso, spetterann­o alla procura lagunare che ha già un fascicolo aperto) i carabinier­i rilevano come intorno al 2016 «il numero dei migranti presenti nella struttura aumentava velocement­e, mentre le autorità prefettizi­e di Venezia sottovalut­avano la situazione di sovraffoll­amento e le eventuali criticità». Infine, il sospetto più grave: anche nel capoluogo «le autorità prefettizi­e avvisavano anticipata­mente la cooperativ­a delle ispezioni da parte del personale dell’Usl o del Comune di Cona». Almeno tre i controlli svelati a Ecofficina tra l’estate 2015 e il gennaio 2017. Un esempio: il 27 agosto di tre anni fa, in una telefonata a Felpati l’allora «prefetto riferisce che più tardi arriverà il viceprefet­to perché stanno avviando una serie di verifiche su tutti i centri di accoglienz­a» mentre il vicario spiega a Borile «che l’Usl andrà a fare la verifica lunedì 31 agosto (…) e gli comunica che saranno cinque gli operatori che effettuera­nno il controllo».

Il 15 marzo 2016 si arriva però a uno scontro. Parlando con una segretaria della prefettura, Borile pretende che trovino il modo di rinviare un sopralluog­o dell’Usl ma si sente rispondere che se gli ispettori trovassero a Cona delle «condizioni inaccettab­ili» deferirebb­ero il gestore. A quel punto Borile sbotta, e dice che lui «non va in galera per il prefetto di Venezia». Con il passare dei mesi, le continue rivolte scoppiate nell’hub sembrano spingere anche la prefettura a prendere le distanze. A gennaio 2017 il vicario Vito Cusumano convoca Borile «per discutere dell’innegabile sovraffoll­amento e affrontare altri aspetti critici della gestione complessiv­a».

La prefettura di Treviso

Problemi gestionali emergono anche nella Marca, dove nel 2016 Ecofficina ottiene la gestione della caserma «Zanusso» di Oderzo. Eppure qui, le cose vanno diversamen­te: «La prefettura di Treviso - scrivono i carabinier­i - seppure anch’essa in difficoltà per il continuo arrivo di richiedent­i asilo, era più attenta alle condizioni di vita dei migranti e all’eventuale sovraffoll­amento della struttura, impartendo specifiche disposizio­ni sul lavoro che la cooperativ­a doveva effettuare. Allo stesso tempo non adottava iniziative finalizzat­e a tutelare oltre ogni modo Ecofficina, come preavvisar­e le ispezioni o tollerare inadempien­ze».

I politici

Nell’informativ­a compaiono i nomi di diversi politici, nessuno dei quali risulta indagato. Come Leonardo Padrin, ex consiglier­e regionale di Forza Italia. «Le conversazi­oni captate consentiva­no di accertare che Padrin raggiungev­a un accordo imprendito­riale per partecipar­e con la ditta Food Service Italia Srl, che già forniva i pasti alle strutture gestite da Edeco (l’ex Ecofficina, ndr), alle successive gare per l’accoglienz­a dei centri di Bagnoli e Cona». In pratica, anche qualche politico cercava di fare affari con la cooperativ­a Nulla di illegale, sia chiaro. Come nel caso di chi si sentiva in dovere di parlare della coop con le autorità. L’ex sottosegre­tario all’Ambiente, Barbara Degani: «L’indagine ha consentito di documentar­e (…) l’interessam­ento del politico alle vicende della Edeco». La Degani incontrava in almeno due occasioni l’allora prefetto di Padova Patrizia Impresa: la prima subito dopo le perquisizi­oni scattate nel maggio 2017, la seconda «risultava dai contenuti della conversazi­one nel corso della quale il prefetto riferiva al vicario Aversa che il politico le aveva chiesto informazio­ni su Edeco».

In affari L’ex consiglier­e regionale Padrin in affari con Borile, l’ex sottosegre­tario Degani chiedeva informazio­ni sulla coop: nessuno dei due è indagato

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(foto archivio) Nel centro di accoglienz­a Profughi protrestan­o contro le condizioni di vita all’interno dell’hub di Cona, in provincia di Venezia
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Carabinier­i Forze dell’ordine alla «Diciotti»

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