Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il primo “ribelle” «Questi sono impreparati»
Il primo dei «ribelli»: esecutivo debole sull’economia
Nicola Tognana (in foto), il primo dei confindustriali «ribelli» negli anni Novanta: «La piazza è una cosa del passato ma in questo governo vedo debolezze di preparazione».
TREVISO «La manifestazione di piazza è una formula di protesta che appartiene ad altre epoche. Ma, francamente, pur pensandoci a lungo, oggi non saprei quale altra efficace strategia si potrebbe utilizzare per smuovere qualcosa».
Il giudizio è di Nicola Tognana, imprenditore che di sistemi «alternativi» di comunicazione se ne intende. E da tempi non sospetti. Negli ultimi cinque anni del Novecento, da presidente di Unindustria Treviso, in aperta polemica con il governo di allora per le «vessazioni» fiscali alle quali erano sottoposti in particolare i piccoli imprenditori nordestini, non si fece scrupoli nello scendere a Roma con un gruppo di associati per far tintinnare le chiavi delle aziende sotto le finestre di Palazzo Chigi (inquilino Dini). Negli stessi anni Tognana ideò una «occupazione» all’ufficio Iva di Treviso e, da presidente di Confindustria Veneto, carica che assunse nel 1999, un volo di una mongolfiera sopra la sempre più intasata tangenziale di Mestre per sollecitare la realizzazione di opere viarie alternative. Ma alzare la voce con soluzioni simili oggi rischia di non sortire gli effetti sperati, riflette ancora l’imprenditore trevigiano, rispondendo alla domanda sull’opportunità di iniziative di forte impatto pubblico ventilate dalle organizzazioni imprenditoriali. Perché a mancare sono gli interlocutori. «A breve vedremo i contenuti del Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) ma io sono abbastanza preoccupato. Vedo debolezze di sensibilità e di preparazione sui temi economici sia nella Lega sia nel Movimento 5 Stelle»
Pensa allora che le forze politiche oggi non al governo potrebbero farsi portavoce del malessere del mondo produttivo?
«In passato e per un certo periodo ho pensato davvero che Silvio Berlusconi, al di là delle molte stupidaggini legate ai suoi comportamenti personali, potesse essere la persona migliore per capire l’imprenditoria. Oggi tuttavia lo vedo stanco e non più in grado di spendere nella nostra direzione gli sforzi di un tempo». Oltre a Berlusconi? «Onestamente in seguito ho anche pensato che Matteo Renzi fosse un uomo in grado di imprimere un’accelerazione e di rinnovare il Paese. Ma anche nel suo caso le performance alla fine si sono rivelate molto al di sotto delle aspettative».
Insomma, su chi potete contare adesso?
«Credo che soltanto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, possegga lo spessore e il linguaggio adatti per parlare a Bruxelles. Ed è lì che dobbiamo saper parlare».
Proposte, comunque, ne sono state avanzate. Vedi la flat tax...
«Sì, ma fino a oggi se n’è solo fatto un gran parlare. Non mi sembra sia ancora successo nulla».
Che cosa le trasmette questo grande senso di preoccupazione? A guardare indicatori come il Pil o l’occupazione dobbiamo riconoscere che in tempi recenti abbiamo vissuto stagioni peggiori.
«Io non ci vedo chiaro e immagino di essere in buona e nutrita compagnia. Penso non sia affatto un caso se persone che da molto tempo non si sentivano più, in questi ultimi giorni hanno sentito la necessità di esprimersi. Sto parlando per esempio di Mario Carraro o di Massimo Colomban».
Ha detto che manifestare in piazza però non servirebbe e che, per calibrare una politica economica coerente con le necessità del Paese, non ci si può affidare ai partiti di opposizione. Alla classe produttiva cos’altro rimane?
«Io penso che occorra aggregare imprese e intelligenze in modo da dare vita a un movimento di opinione forte e capace non solo di trasmettere lo scontento ma anche di elaborare proposte. Il che non è facile. E temo che i grandi assenti in tutto questo sarebbero i giovani. Noi possiamo ragionare da persone navigate e ricche di esperienza ma se non c’è la consapevolezza dei rischi che corre questo Paese in chi, più di noi, dovrà viverci e lavorare nei prossimi decenni, allora un simile progetto non ha senso».
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Noi possiamo metterci l’esperienza ma se non reagiscono i giovani...