Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Scimone, il maestro che riscoprì Vivaldi e il Settecento
Con i Solisti Veneti ha riscoperto il barocco veneziano Le collaborazioni con i cantanti pop
Il mondo della musica, e non solo, piange la morte di Claudio Scimone, il direttore d’orchestra che avrebbe compiuto 84 anni il 21 dicembre prossimo, scomparso la notte scorsa. Lo sgomento è enorme in Italia, nel Veneto e soprattutto a Padova, l’amata città che gli ha dato i natali e da cui è iniziata e si è sviluppata la sua mirabolante carriera.
Era stata la madre, grande ammiratrice di Toscanini, a farlo innamorare della bacchetta: «Sarebbe bello tu facessi il direttore d’orchestra», soleva ripetergli. A 11 anni va così ad affiancare agli studi tradizionali quello del pianoforte. Ottenuta la maturità, il padre medico lo spinge ad iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, lo vuole avvocato. Darà quasi tutti gli esami e tutti con voto 30.
Il mondo della musica, e non solo, piange la morte di Claudio Scimone, il direttore d’orchestra che avrebbe compiuto 84 anni il 21 dicembre prossimo, scomparso la notte scorsa. Lo sgomento è enorme in Italia, nel Veneto e soprattutto a Padova, l’amata città che gli ha dato i natali e da cui è iniziata e si è sviluppata la sua mirabolante carriera.
Era stata la madre, grande ammiratrice di Toscanini, a farlo innamorare della bacchetta: «Sarebbe bello tu facessi il direttore d’orchestra», soleva ripetergli. A 11 anni va così ad affiancare agli studi tradizionali quello del pianoforte. Ottenuta la maturità, il padre medico lo spinge ad iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, lo vuole avvocato. Darà quasi tutti gli esami e tutti con voto 30. La laurea la riceverà invece honoris causa molti anni dopo perché nel frattempo la musica lo aveva chiamato a sé. Al Mozarteum di Salisburgo frequenta infatti i corsi di perfezionamento in pianoforte di Carlo Zecchi che è anche un noto direttore d’orchestra. È la folgorazione. Sempre nella città mozartiana incontra il grandissimo direttore greco Dimitri Mitropoulos. Un giorno Mitropoulos gli fa una domanda cruciale: «Come può lei pensare di diventare direttore d’orchestra senza un’orchestra?». Nasce così il sogno di creare un suo complesso, nella sua città. La vita musicale di Padova al tempo è molto scarna: c’è un’unica società concertistica che fa quello che può. Il conservatorio, allora istituto musicale, è piccolo ed ha pochi studenti.
Claudio Scimone riunisce un gruppo di giovani entusiasti neodiplomati e nel 1959 fonda quel gruppo da camera che diverrà nel tempo un vero e proprio mito: i Solisti Veneti. L’avventura «Solisti Veneti» ha una missione fondamentale: rinnovare totalmente la visione della grande musica barocca veneziana. Scimone non si capacitava che, a differenza di ciò che accadeva con i grandi della pittura, le antiche melodie della Serenissima venissero svilite a «musichetta di sottofondo».
Vivaldi, Tartini, Galuppi e molti altri protagonisti di quella felice epoca rifioriscono così in oltre 6mila concerti in ogni angolo del mondo, la partecipazione ai più importanti festival internazionali, una discografia imponente di oltre 350 titoli e poi DVD, attività culturali d’ogni genere, edizioni musicali e storiche, premi. Ne riceve persino uno al Festivalbar con 350.000 voti del pubblico giovanile.
Non c’è da sorprendersi perché Claudio Scimone è un uomo di vedute apertissime. Accanto a collaborazioni con i massimi solisti e cantanti della nostra epoca, egli infatti incontra protagonisti delle «altre» musiche. Lo vediamo così dirigere accanto a Pino Donaggio, Massimo Ranieri o dialogare con Giovanni Allevi, come recentemente avvenuto su Rai 5, appena lo scorso luglio.
Con i giovani il rapporto è speciale da sempre. La didattica ha un peso importantissimo nella sua attività: per quasi trent’anni ha ricoperto la carica di direttore del Conservatorio «Cesare Pollini» di Padova. È stato un grande manager, anche se lui timidamente negava di esserlo. Diceva di avere solo dovuto darsi da fare essendo nato in provincia. Dell’oggi contestava il culto dell’esteriorità. E così si rifugiava nella meditazione e nelle discipline orientali. Lo si è visto l’anno scorso all’apertura del Tempio Zen di Padova. Ed era imperdibile l’appuntamento del sabato, a pranzo, con il ristorante giapponese Zushi in via Tommaseo. Mancherà. A noi e alla musica.