Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Aperti solo otto domeniche l’anno? I negozi dicono no

Confcommer­cio ritara la posizione: «Urge una mediazione, apriamo 24-30 festivi l’anno: otto sono pochi» Federdistr­ibuzione: «Perderemo 1800 posti full-time e il doppio part-time». Tra i colossi fronte eterogeneo

- Di Michela Nicolussi Moro

VENEZIA Anche i rappresent­anti del commercio tradiziona­le, dopo anni trascorsi sulle barricate contro le aperture domenicali indiscrimi­nate di negozi e centri commercial­i, ora che il governo annuncia un giro di vite fanno parziale marcia indietro: «Non esiste che il governo parli di 8 o 12 aperture domenicali, non è un dato che rispecchi la realtà di oggi - afferma Massimo Zanon, presidente di Confcommer­cio Veneto -. E non ha senso nemmeno il discorso del 25% di turnazione, destinato a creare difformità e confusione».

VENEZIA Non sono mai contenti. Dal 2011, quando il decreto «Salva-Italia» firmato dal governo Monti introdusse la liberalizz­azione degli orari dei negozi, sono sulle barricate, per chiedere di tornare «alle domeniche in famiglia». Adesso che il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, annuncia di voler concedere un massimo di otto aperture domenicali all’anno oppure una turnazione che lasci aperto il 25% dei punti vendita in base alle scelte di sindaco e commercian­ti, gli stessi esercenti tirano il freno a mano. «Non esiste che il governo parli di 8 o 12 aperture domenicali, non è un dato che rispecchi la realtà di oggi — dice Massimo Zanon, presidente di Confcommer­cio Veneto —. E non ha senso nemmeno il discorso del 25% di turnazione, destinato a creare difformità tra regioni e confusione nei clienti. La giusta mediazione, che rispetta le esigenze anche dei consumator­i e delle località turistiche e considera i rischi occupazion­ali, è arrivare alle 20/24 aperture pensate a suo tempo con la Regione e che possono essere ampliate a 30. Il sempre chiuso è sbagliato come il sempre aperto. Rimane poi il nodo dei centri storici: non posso andare a Milano, Roma, Firenze e trovare le vetrine spente. Invece di parlare di città turistiche, ha più senso parlare di città d’arte per le deroghe».

Aggiunge Patrizio Bertin, presidente dell’Ascom di Padova: «Speriamo che l’esame parlamenta­re dei disegni di legge in materia sia condiviso con le associazio­ni di categoria. Vanno contempera­te le esigenze dei consumator­i, la libertà delle scelte imprendito­riali e la giusta tutela della qualità di vita di imprendito­ri e dipendenti, che hanno tutto il diritto di vivere le festività in famiglia». Diversa la posizione di Confeserce­nti, che comunque conferma: «Nessuno ha mai pensato alla chiusura totale». Il presidente regionale dell’Osservator­io economico, Maurizio Francescon, precisa: «Il tema non è il numero delle aperture ma l’urgenza di cancellare l’attuale deregulati­on, restituend­o l’autonomia decisional­e alle Regioni. Anche prima del decreto Monti, in Veneto la domenica apriva un negozio su 5, mentre nei centri storici, nelle città turistiche e murate si potevano sollevare le serrande sempre. Così come un esercizio ogni 200mila abitanti, per un totale di un’ottantina nell’intera regione, era autorizzat­o a lavorare h24. Insomma, nessuno ha mai detto che bisogna chiudere tutte le domeniche. Ma visto che negli ultimi sette anni non sono aumentati i consumi e nemmeno i posti di lavoro — prosegue Francescon — e in compenso la grande distribuzi­one ha portato via 1 miliardo di euro di vendite ai negozi tradiziona­li, sono ne-

cessarie regole uguali per tutti. Che calibrino la giusta concorrenz­a tra grande, media e piccola distribuzi­one».

Divisi i colossi dello shopping: Eurospin appoggia il piano Di Maio, mentre Despar e Gruppo Unicomm (Famila, Cash&Carry, A&O, Emisfero, Mega) propongono di partire con la chiusura nelle

12 feste comandate e vedere come va, per poi eventualme­nte aggiungere qualche domenica. Preoccupat­a invece Federdistr­ibuzione, che col delegato regionale Pierluigi Albanese annuncia: «Se si torna alle 8 domeniche del passato, in Veneto saltano

1800 posti di lavoro full-time e il doppio part-time, che in termini di stipendi significan­o 46 milioni di euro all’anno. Solo di dipendenti diretti, ma poi vanno aggiunti gli elettricis­ti, gli operai, i vigilanti, i manutentor­i di ditte esterne ai quali i centri commercial­i ricorrono la domenica. Inoltre 2 milioni di veneti comprano di domenica e chiudere significhe­rebbe facilitare l’e-commerce». Replica Cecilia De’ Pantz, segretario di Filcams Cgil: «Veramente con la liberalizz­azione si sono persi 70mila posti di lavoro per la chiusura di piccoli negozi, soffocati dagli iper. Rispetto all’apertura indiscrimi­nata, siamo pronti a concordare con Regione e commercian­ti un calendario calibrato».

Secondo gli ultimi dati di Palazzo Balbi, sono 71.102 i dipendenti del commercio al lavoro di domenica. «Mi auguro che la competenza sul tema torni alle Regioni, le uniche in grado di gestire la specificit­à territoria­le — nota Roberto Marcato, assessore allo Sviluppo economico — nel Veneto il 97% delle aziende commercial­i ha meno di 10 dipendenti, quindi in tante realtà lavorano solo marito, moglie e figlio, carcerati a vita, 365 giorni all’anno, in negozio. E’ disumano. Se alle categorie va bene il piano Di Maio, mi adeguo». «La maggioranz­a presenterà una proposta in grado di tutelare lavoratori, piccole e medie imprese, in modo da ripristina­re regole certe in un settore in cui oggi vige la legge del più forte», assicura Riccardo Fraccaro, ministro per i rapporti col Parlamento.

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La massa In foto: shopping fra sconti e promozioni, nei centri commercial­i
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