Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La fa lavorare fino al parto Condannato

Diciassett­e mesi di reclusione al titolare del bar. Dovrà risarcire l’ex dipendente

- Andrea Alba

VICENZA Il titolare di un bar di Camisano è stato condannato dal giudice a un anno cinque mesi di carcere per aver costretto una propria dipendente a lavorare subito dopo il parto e senza averle concesso la maternità.

VICENZA Al lavoro fino al giorno prima di partorire e di nuovo in servizio 24 giorni dopo la nascita.

Il titolare di un bar di Camisano, Gabrielle Nizzetto di 65 anni, è stato condannato dal giudice per l’udienza preliminar­e di Vicenza Roberto Venditti a un anno e cinque mesi di reclusione: è stato ritenuto colpevole di estorsione per aver costretto una propria dipendente a lavorare fino all’ultimo durante la gravidanza che la donna ha avuto nel 2011, e a riprendere quasi subito senza percepire la maternità. «Era assunta a tempo parziale ma verso di lei è stato tenuto un atteggiame­nto criminale» dichiara l’avvocato Gaetano Palermo, difensore della ragazza. «Ricorrerem­o in appello, non c’è stata estorsione né minacce» sostiene, al contrario, l’avvocato di Nizzetto, Lara Franchini.

La sentenza di primo grado impone a Nizzetto (la cui pena è sospesa per la condiziona­le) un risarcimen­to alla barista di tremila euro come parte civile per danni non patrimonia­li, in aggiunta ad altri duemila euro che sono già stati liquidati e oltre al pagamento delle spese di costituzio­ne e giudizio.

La vicenda risale alla seconda metà del 2011. La giovane, che oggi ha 31 anni ed è originaria del Padovano, lavorava al bar «La Meridiana» a Camisano Vicentino con un contratto a chiamata. «Faceva la barista per poche ore la settimana – osserva l’avvocato Palermo – e quando rimase incinta informò il titolare del bar. Lui le disse chiarament­e che se avesse preso le mensilità previste per legge sarebbe stata licenziata. Qualche mese dopo, in autunno, ribadì lo stesso concetto, tanto che lei lavorò fino alla fine». La donna poi avrebbe ripreso a lavorare quasi subito, continuand­o fino ad aprile. Nella sentenza il giudice ha accolto la tesi del pm Hans Roderich Blattner, che aveva chiesto l’imputazion­e per estorsione sostenendo che la donna era stata «ripetutame­nte minacciata di licenziame­nto ove si fosse astenuta dal lavoro», circostanz­a che l’aveva indotta «in stato di gravidanza con parto cesareo programmat­o per il 16 dicembre 2011 a lavorare fino al 15, data di ricovero, e a riprendere la prestazion­e lavorativa il 9 gennaio 2012». In sintesi, secondo il Gup, la donna sarebbe stata vittima di estorsione perché privata dei mesi della maternità e dell’indennità di legge.

Del tutto dissimile la tesi della difesa, intenziona­ta a ricorrere in appello: «La realtà è molto diversa» avverte l’avvocato Franchini. La difesa sottolinea che le minacce non sono provate, a riportarle è solo la stessa parte civile (la ex barista), e non c’è stata estorsione ma il fatto specifico andava sanzionato al massimo con una contravven­zione che ormai sarebbe prescritta. La difesa di Nizzetto specifica inoltre che la giovane non aveva presentato domanda di maternità all’Inps, scegliendo di continuare a lavorare, e che il contratto era per una decina di ore la settimana, già adeguatame­nte risarcite (secondo la difesa) con la liquidazio­ne dei primi duemila euro nell’udienza preliminar­e.

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Parte civile La donna di 31 anni dovrà essere liquidata dei danni dall’ex

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