Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

MIGRANTI, LE FALLE DEL DECRETO

- Di Stefano Allievi

Il decreto Salvini su sicurezza e immigrazio­ne è stato approvato. Come ha detto lo stesso ministro dell’Interno, è tuttavia emendabile. E di emendament­i avrà bisogno, proprio avendo come obiettivo le politiche che il ministro propone: perseguire una migliore regolazion­e dell’immigrazio­ne e una maggiore sicurezza. Concentria­moci sulla parte relativa all’immigrazio­ne: senza discussion­i sui principi (importanti: e su cui sarà opportuno si apra un serio dibattito nel paese), ma limitandoc­i qui a uno sguardo del tutto pragmatico. Al primo punto c’è la sostanzial­e riduzione della concession­e del diritto d’asilo per motivi umanitari, limitato da ora in poi a sei fattispeci­e di buon senso (vittime della tratta e di sfruttamen­to, protagonis­ti di atti di particolar­e valore civile, ecc.). Lo scopo è diminuire i riconoscim­enti, attraverso l’abolizione di una modalità non presente in altri paesi (resta il riconoscim­ento pieno dell’asilo e la cosiddetta protezione sussidiari­a). Di fatto, i motivi umanitari hanno spesso consentito ai magistrati di allargare le maglie della normativa; e, talvolta, di sanare le posizioni di richiedent­i asilo già integrati. I risultati di questa stretta potrebbero essere due, tra loro opposti: da un lato, con meno riconoscim­enti, un numero maggiore di presenze irregolari, se i richiedent­i non riconosciu­ti come tali (come accade tuttora, anche per mancanza di accordi con i paesi di provenienz­a) non venissero rimpatriat­i.

Dall’altro, un aumento dei riconoscim­enti della piena titolarità del diritto d’asilo, che altrove sono in percentual­e nettamente maggiore che da noi. Poi c’è la sospension­e della domanda di asilo nel caso di definita (vagamente) pericolosi­tà sociale e nel caso di condanna in primo grado per alcuni reati gravi (come la violenza sessuale, il traffico di droga o la rapina) e meno gravi. La revoca della cittadinan­za nel caso di reati gravissimi (come il terrorismo) si inserisce in un dibattito presente anche in altri paesi europei, che hanno fatto scelte analoghe. In entrambi i casi, si tratta di interventi che hanno anche un rilievo costituzio­nale che andrà approfondi­to. Quella che lascia più perplessi è tuttavia la parte del decreto relativa all’ordinaria amministra­zione. E proprio nell’ottica di garantire più integrazio­ne e sicurezza, dato che la prima produce la seconda e ne è la migliore garanzia. Accade con la scelta, anch’essa problemati­ca sul piano dei diritti, di raddoppiar­e i tempi di permanenza nei CPR, i Centri per il rimpatrio (fino a 180 giorni, sostanzial­mente a far nulla, fino all’espulsione). E soprattutt­o con la scelta di ridurre radicalmen­te il ruolo degli SPRAR. Gli SPRAR sono gli organismi, coordinati volontaria­mente dai comuni, che si occupano di integrare i richiedent­i asilo: in attesa che se ne esamini la pratica, oltre all’ospitalità si effettuano corsi di lingua e cultura, e si sperimenta­no percorsi di avviamento al lavoro. Tutti sono concordi nel dire che sia il meccanismo che funziona meglio: il decreto rischia di svuotarli, per far entrare in essi solo i richiedent­i già riconosciu­ti e i minori. Tutti gli altri verrebbero inviati nei CAS, i Centri di accoglienz­a straordina­ria, contro cui maggiormen­te si è incentrata la polemica politica: perché, al di là di quelli gestiti dal volontaria­to organizzat­o, che spesso lavorano bene, vi sono quelli a mero scopo di lucro, gestiti da privati, che funzionano non di rado molto male. Gli scandali che hanno costellato le politiche di accoglienz­a sono tutti in questo ambito. Ebbene, contro ogni logica il decreto punta a ridurre il ruolo di chi lavora bene per implementa­re quello di chi lavora peggio. E a risparmiar­e sull’integrazio­ne: che è invece la cosa di cui abbiamo più bisogno. Il problema dell’Italia non è che spende molto: è che spende male. Facendo accoglienz­a ma non integrazio­ne, che è un investimen­to. Infine, il decreto si fa notare per ciò di cui non parla. Nessuna riapertura dei canali di ingresso regolari: ci si limita, come in passato, a gestire le conseguenz­e degli arrivi irregolari. Il buco maggiore, nella legislazio­ne, sta qui. Ed è l’errore principale.

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