Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il medico di base che scrive ricette in dialetto veneto
Santa Lucia, Szumski fa ancora parlare. Faro dell’Ordine
SANTA LUCIA DI PIAVE Le pastiglie vanno prese «do al dì, dopo disnar e zena», oppure «una al di par zinque di». Prescrizione medica. Firmato Riccardo Szumski, che oltre a essere il dottore di Santa Lucia di Piave ne è anche lo storico sindaco.
SANTA LUCIA DI PIAVE Le pastiglie vanno prese «do al dì, dopo disnar e zena», oppure «una al di par zinque di». Prescrizione medica. Firmato Riccardo Szumski, che oltre a essere il dottore di Santa Lucia di Piave ne è anche lo storico sindaco, al quarto mandato per essere precisi, e ha fatto del venetismo una religione. Le ricette le ha scritte lui, di suo pugno, in dialetto, e ha mandato i pazienti in farmacia con quel pezzo di carta un po’ singolare, che se non altro fa strabuzzare gli occhi di incredulità. «Nessuna regola mi impone di scrivere in italiano la posologia, l’importante è che la persona a cui consegno la ricetta sia edotta e possa comprendere quello che legge – spiega -. Lo faccio già da tempo, nessuno si è lamentato, nemmeno i farmacisti, ma se qualcuno la pensa diversamente può fare una segnalazione».
E non ne sono arrivate, anzi: pare che i cittadini abbiano risposto con favore. Ma l’ordine dei medici tiene le orecchie alte e ne parlerà durante il prossimo consiglio. «Noi vigiliamo sulla deontologia – rileva il presidente Luigino Guarini - a tutela della salute del cittadino. La notizia non ci dà conto di eventuali danni patiti dagli assistiti e dunque non abbiamo motivo di intervenire. Qualora fossero segnalati problemi di comunicazione sia con i pazienti sia con i farmacisti allora dovremmo discuterne più in profondità». Soprattutto nel caso in cui si presentasse un problema di ordine «contrattuale» con l’Ulss 2: «Per un paziente straniero l’anamnesi si può fare in inglese o in francese – riflette il presidente dei medici di base Brunello Gorini - Fa sorridere il fatto che, per cittadini che parlano correttamente l’italiano, invece di una lingua internazionale si usi il dialetto. Anche se non sembra che ci siano delle irregolarità».
Nato in Argentina nel 1952, figlio di un polacco, laurea in medicina a Padova, un passato in ospedale a Conegliano e ora lo studio convenzionato con l’Ulss, il dottor Szumski ha i cittadini come pazienti. E questa non è la sua prima curiosa manifestazione di orgoglio venetista: «Non parlavo veneto – racconta -, l’ho imparato quando sono venuto a vivere qui, per integrarmi, e per tanti dei miei concittadini è la principale lingua di conversazione».
Così, per agevolare la popolazione più anziana e «bilingue», la ricetta si adegua alla tradizione. Il nome del farmaco è riportato in linguaggio scientifico e perfettamente comprensibile, solo l’indicazione al paziente è senza dubbio originale: «Mesa al di par cuatro di, dopo te vien a controlo».
In Sinistra Piave il suo nome lo conoscono tutti: Szumski è stato sindaco dal 1994 al 2002, poi vicesindaco, poi rieletto sindaco nel 2012, libero pensatore senza tessere né poltrone, inizialmente socialdemocratico, ex forzista ed ex leghista, ora è un indipendentista fedele al solo vessillo di San Marco e a Santa Lucia di Piave. L’ha dimostrato in più occasioni, dalle proteste contro le politiche fiscali e contro la Prefettura di Treviso (che l’aveva richiamato per i suoi atteggiamenti ostili, definendolo «non conforme») al gonfalone listato a lutto nel 150esimo anniversario dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia, passando per l’annuncio di assenza dal suo studio medico in dialetto, i cartelli in dialetto per la fiera locale e prossimamente il dono della bandiera di San Marco ai nuovi nati, con tanto di certificato in italiano, inglese e veneto, da consegnare assieme a quello tradizionale. Ed è un omaggio del sindaco, nessuna spesa per il Comune.
Ci tiene, eccome se ci tiene, il dottor Szumski: «Non è dialetto, il veneto è una lingua – rimarca -. Per qualcuno, anzi, è la prima lingua, quella abituale di tutti i giorni, che uso in studio come in qualsiasi altro luogo. Se scrivo a un’anziana di 90 anni di prendere un farmaco a giorni alterni mi risponde, “eo che?”. Così invece ci capiamo subito».