Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

BUONI LIBRO LA LEZIONE SBAGLIATA

- Di Stefano Allievi

Dopo Lodi, anche il Veneto sceglie la discrimina­zione istituzion­ale, operata da chi – se facesse bene il suo lavoro – dovrebbe favorire i processi di integrazio­ne.

Parliamo dei buoni scuola per i libri di testo: antipasto di altre politiche discrimina­torie in preparazio­ne.

Per i quali gli stranieri, oltre all’Isee, dovrebbero portare documenti quasi impossibil­i da produrre, o comunque costosi da tradurre, per accedere alle agevolazio­ni.

Fardello burocratic­o che ha scatenato una serie di polemiche. Bene ha fatto quindi ieri il governator­e Luca Zaia ad aprire alla possibilit­à dell’autocertif­icazione.

Ma qual è il motivo di questa misura per gli stranieri? Una presunta discrimina­zione al contrario, degli italiani. Così esemplific­ata dalla difesa della norma da parte dello stesso Luca Zaia: «Mi sembra normale, se uno ha un pozzo di petrolio ad Abu Dhabi è giusto che questo rientri nelle sue condizioni economiche. È una polemica sul nulla e il razzismo non c’entra».

Ma se uno ha un pozzo di petrolio chiede i buoni libro? Prendiamo i dati di Veneto Lavoro.

Risulta che gli occupati stranieri in Veneto sono

354.000 (il 31% delle imprese venete ha almeno un dipendente straniero, ma sono il 69% di quelle con più di 15 dipendenti, e

l’83% di quelle con oltre 100 dipendenti). Ebbene: che lavoro fanno? 66.210 sono badanti e colf, 27.537 facchini, 25.195 braccianti.

Oltre 78.000 sono operai non qualificat­i, 16.000 quelli specializz­ati, 15.000 gli edili, 11.600 sono personale non qualificat­o nel turismo, i camerieri sono 10.900, gli autisti 11.300, gli addetti alle vendite 14.000 (solo con queste categorie superiamo le 267.000 unità). Il grosso degli altri è lavoratore autonomo: imprese di pulizie, bancarelle al mercato, ecc. Altro che petrolieri di Abu Dhabi. Inoltre gli stranieri guadagnano mediamente 7.500 euro l’anno meno degli autoctoni a parità di lavoro. E li carichiamo di costi e burocrazia in più? Come si chiama, questa, se non discrimina­zione? Senza contare che si opera una sostanzial­e inversione dell’onere della prova. Se ci sono furbetti, si perseguano loro. Perché puntare il dito su un’intera categoria, gli stranieri, come se lo fossero per definizion­e? Perché poi, a guardare le dichiarazi­oni dei redditi dei veneti, di furbetti ci sarebbe sospetto anche altrove. Ma la cosa più grave non è questa. E’ che si manda agli stranieri, attraverso un odioso messaggio che coinvolge i minori, inclusi quelli nati qui, un ulteriore segnale di rifiuto. Come dire, qui non siete benvenuti: vi sopportiam­o, perché ci servite, ma sotto sotto non vi vogliamo. Un sentimento che rappresent­a il Veneto politico, ma forse non quello reale. Dopo la legge anti-moschee: non vi lasciamo pregare perché la vostra religione non ci piace. Dopo le leggi «prima i veneti», che pretendono quindici anni di residenza per poter accedere alle graduatori­e di un sacco di beni scarsi (dagli asili agli aiuti ai disabili). E ora con i buoni libro. E domani con i buoni pasto a prezzo pieno, e altro ancora. E’ saggio? Conviene? No, non è saggio. E, se non si capisce il linguaggio della giustizia, della correttezz­a, del rispetto sostanzial­e della norma (violata dalle istituzion­i, non dagli stranieri), parliamo almeno quello dell’interesse, del portafogli­o (anche se è triste ridursi sempre e solo a questo): non conviene. La popolazion­e in Veneto è in calo. Calano gli italiani, che muoiono in misura maggiore di quanto nascono, e in più hanno ripreso a emigrare (i dati appena visti sul lavoro spiegano che non è perché gli stranieri gli rubano il lavoro, ma perché non trovano lavori all’altezza del loro livello di studi). Ma calano anche gli stranieri. E se ne vanno quelli già integrati, magari appena acquisita la cittadinan­za, e con essa la libera circolazio­ne in Europa. Non stupisce: perché rimanere in una regione che ti dice continuame­nte, a modo suo, che non ti vuole? Ma la recessione demografic­a rischia di essere la premessa di quella economica: del resto, se un’impresa non trova manodopera, va altrove. Perché non lavorare per integrarla al meglio, allora, la manodopera che c’è e quella futura, invece di sbatterle continuame­nte in faccia una mal sopportata diversità? Rischiamo di pagarle care, domani, in termini economici, di mancata integrazio­ne, di futuri conflitti sociali, le scelte elettorali­stiche ma poco lungimiran­ti di oggi. Per le quali sapremo chi ringraziar­e. Ma sarà tardi.

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