Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Tomasin e la storia del territorio «Attenti alle trappole identitarie»
«Quella che ci consegna la storia di Venezia è una grande lezione di libertà. Insegnarla ai ragazzi non può che essere un bene, ma se è imposta dall’alto si rischia solo di fare danni». Lorenzo Tomasin, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Losanna, è da sempre attento ai temi della cultura veneta.
Professore, con l’ok del ministero si compie un passo in avanti: il Veneto è la prima regione a promuovere nelle scuole dell’obbligo la cultura locale...
«Ora c’è l’ufficialità, è vero, ma non sono mai mancati docenti illuminati che hanno affrontato il tema in classe: da studente dello scorso millennio, al liceo Foscarini di Venezia, ne ricordo con particolare affetto due. Ma erano entrambi preparati e molto colti. Non si tratta di qualcosa che si può improvvisare».
Teme che possa essere insegnata male?
«È un rischio. È già successo in passato quando si è deciso di punto in bianco di insegnare materie che all’improvviso si è ritenuto impellenti. Penso a informatica: molti docenti non erano pronti e in certi casi si è rivelata una perdita di tempo».
Proviamo a definire la cultura veneta: è possibile fare una sintesi valida dal Garda alla laguna?
«Certo, è la Repubblica di Venezia, l’entità che ha plasmato tutto il territorio dell’attuale regione. Se noi veneti possiamo parlare di una cultura condivisa è grazie alla Serenissima».
E come può essere attuale a oltre duecento anni dalla caduta? Cosa può insegnare a uno studente di oggi?
«Venezia ha sempre rappresenta un’eccezionalità nel contesto europeo. Un’anomalia caratterizzata da libertà e autonomia che ha suscitato sentimenti di stupore, ma anche di fastidio anche nelle realtà politiche a essa contemporanea. Come tutte le cose deve essere trovato un giusto mezzo: per uno studente che vive a Treviso è importante sapere chi era Ezzelino, ma anche conoscere la storia di Bruxelles, Tokyo e Washington. Perché quanto accade in queste città ha conseguenze immediate anche dove viviamo».
Il progetto prevede di andare ancora più indietro nel tempo, fino ai Paleoveneti. Ha senso questa operazione?
«Sì, lo dico anche da storico della lingua. È sicuramente interessante risalire a cosa c’era prima che il latino diventasse l’idioma comune. Ma occorre evitare tentazioni identitarie. In questo modo si tradirebbe la storia».
Molti lamentano che la storia veneta è snobbata da programmi scolastici. È davvero così?
«Io credo che a essere snobbato sia, in generale, il passato lontano. La contemporaneità ha fagocitato tutto, facendo venire meno la prospettiva storica».