Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La Lega alla prova dell’urna trentina nuovi scenari e nuove intese all’orizzonte
Con Friuli, Veneto, Lombardia la Lega ricompatterebbe poi il Nordest sotto un’unica bandiera e, forse, un’unica strategia.
Su questo punto ha battuto il centrosinistra autonomista – evaporato in una delle tante feritoie del personalismo dopo le elezioni politiche del 4 marzo e ora diviso su due candidati, il governatore uscente Ugo Rossi e l’ex braccio destro di Veltroni, Giorgio Tonini – per smontare la candidatura di Maurizio Fugatti (peraltro nativo di Bussolengo), alfiere della Lega e del centrodestra.
Sarebbe un tassello periferico e politicamente debole nel mosaico del Nordest, un vaso di terracotta tra vasi di ferro per rimembrare don Abbondio, con un rischio di «venetizzazione» – culturale e politica – hanno sottolineato malignamente il centrosinistra e il Movimento 5 stelle (con il ministro trentino-veneto Fraccaro in testa…). Con l’aggravante che il sovranismo leghista ridurrebbe la centralità di un territorio che è tale per via di accordi internazionali (De GasperiGruber) e del suo essere soglia tra l’Europa del nord e del sud. Una gaffe di Salvini ha alimentato poi la vis polemica degli avversari. Di fronte alla domanda perché il suo nome apparisse sul simbolo della Lega e non quello del candidato presidente, come accaduto in Veneto per Zaia, il leader del Carroccio ha replicato che «Zaia è Zaia», lasciando inavvertitamente intendere che Fugatti ha un peso specifico inferiore.
Al netto delle polemiche, lo scivolamento verso un’omologazione al quadro politico nazionale è reale e si manifesta come l’esito della mancata innovazione politica che da alcuni anni patisce il Trentino. Dopo aver lanciato la Margherita negli anni Novanta con Lorenzo Dellai, dopo i mille laboratori a sinistra figli anche della specificità del cattolicesimo trentino, dopo i tentativi di territorializzare pure il centrodestra, in particolare con Forza nel primo decennio dei Duemila, la sperimentazione è rifluita, sostituita dall’ultimo dei leader nazionali (prima Renzi, ora Salvini).
La stessa Autonomia speciale ha imboccato una fase di affaticamento, declinando su una dimensione più procedurale. La campagna elettorale ne è stata la riprova. Si è consumata su argomenti in buona parte nazionali, si sono riproposte le fratture che stanno contraddistinguendo il (non) governo Movimento 5 stelleLega – in primis sul tunnel del Brennero, un’opera strategica per l’Europa e per il Veneto stesso –, persino la sicurezza fa capolino in una delle province più quiete del continente.
Se la proposta del Carroccio supererà la prova del voto, si apriranno scenari inediti nelle relazioni interregionali. In primis, sul macrotema delle infrastrutture perché troverebbe probabilmente compimento la realizzazione della Valdastico nord, l’ormai quarantennale diatriba iniziata con Flaminio Piccoli, Mariano Rumor e Antonio Bisaglia (Pirubi). Nell’agenda ci sono anche le concessioni autostradali (AutoBrennero e Autovie Veneto), la grande partita del corridoio del Brennero, l’elettrificazione del treno in Valsugana e, ancora, i conflitti da dirimere come i confini della Marmolada. Un’agenda cospicua che la Lega vorrebbe evadere sotto il richiamo della comune appartenenza.