Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Se la politica industriale latita
Le nostre imprese (piccole, medie e grandi) e le nostre industrie (tradizionali del Made in Italy così come quelle più nuove) rappresentano l’autentica spina dorsale del Paese. Gli imprenditori che operano nei settori pienamente esposti alla competizione globale - in primis, coloro che operano nella manifattura - non sono una casta di privilegiati ma persone che affrontano il rischio d’impresa investendo capitali propri, mettendoci del loro. E che col fattore lavoro – operai e impiegati, tecnici e dirigenti - formano un’alleanza naturale. Perché non sviluppare una politica industriale è particolarmente grave per un paese come l’Italia? Sgombriamo il campo dalla caricatura che, non di rado, ne viene fatta: la politica industriale non è un “piano quinquennale” sotto mentite spoglie. Dani Rodrik, autorevole professore alla Kennedy School of Government (Harvard University), lo spiega con chiarezza: “E’ un mix di forze di mercato e sostegno governativo” capace di facilitare la “trasformazione strutturale; ossia, l’ascesa di nuovi settori industriali”. In questo XXI secolo, gli investimenti in conoscenza – spese in R&S, formazione del capitale umano - ne sono quindi lo strumento principe. Sono investimenti, per definizione, costosi e rischiosi: hanno bisogno sia di raggiungere una determinata massa critica sia dello scorrere del tempo per dare pienamente i loro frutti. Vi è, in verità, una terza caratteristica: sono investimenti ch+e necessitano di essere collocati in un disegno complessivo. L’esempio della Germania appare particolarmente istruttivo perché ci insegna una lezione, anzitutto, di metodo: con l’improvvisazione non si costruiscono strumenti duraturi e utili. Nel 2010 il Governo federale lanciava la sua “High-Tech Strategy 2020 for Germany”. Da uno dei suoi filoni già nel 2012 traeva origine il programma “Industrie 4.0”, che oggi ha nella possente “Platform Industrie 4.0” il foro nel quale tutti gli attori economici e sociali cooperano – sotto la regia del Governo federale – per rafforzare la competitività della Germania in tutto ciò che ha a che fare con la quarta rivoluzione industriale. Il Piano nazionale Impresa 4.0 può ancora rappresentare l’inizio di un percorso virtuoso se a Roma si ascolterà la voce di chi opera effettivamente sul campo da gioco: nel NordEst (Triveneto ed EmiliaRomagna) sono tante le imprese manifatturiere che giocano la Champions League, e non solo questa.