Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La vicentina e la truffa in Vietnam «Era solo un’impiegata, non c’entra»
Il legale della donna: «Un mistero l’iscrizione del suo nome nell’inchiesta»
VICENZA Arrestata e rilasciata dopo poche ore, per un mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol circa una presunta truffa in Vietnam cinque anni fa. Quello della 42enne vicentina Manuela Polga, però, è un autentico giallo: «Lei era all’oscuro di tutto, è un’impiegata amministrativa e non un’imprenditrice – la difende il suo avvocato, Augusto Cangiano –. Lavorò in Vietnam sei mesi come dipendente di un’azienda tunisina, mai con una propria ditta. Non è autrice di alcuna truffa né avrebbe avuto la possibilità di farlo, e dal 2013 ad oggi non si è mai nascosta. Non sapeva di questo mandato di arresto».
A Milano, dove la donna è stata fermata venerdì, la Corte d’Appello non ha convalidato l’arresto (da cui il rilascio, sabato mattina) e si prepara a riesaminare il caso per decidere sull’estradizione. «Confidiamo che la domanda venga respinta, con il Vietnam non c’è nemmeno un trattato» dichiara il legale. La 42enne di Fara è stata oggetto di un «fermo momentaneo», come precisa Cangiano, venerdì sera a Milano nel suo albergo. La donna aveva fornito all’hotel la carta d’identità, trasmessa come da prassi alla questura: il nome è risultato coincidente con quello di un mandato dell’Interpol.
La vicenda di cui la vicentina viene accusata è facilmente riscontrabile sui giornali vietnamiti. Il nome di Manuela Polga viene associato al processo avvenuto nel 2015 in Vietnam a diciotto persone tra cui un ex direttore generale della Agribank, un grosso istituto di credito di quel Paese. Sono state processate con l’accusa di aver causato una perdita di circa 122 milioni di dollari all’istituto tramite una società straniera, la Lifepro Vietnam, che dal 2008 al 2012 ha richiesto prestiti per una somma analoga per realizzare una fabbrica di abbigliamento di lusso. Il nome della vicentina ricorre fra quelli dei vertici dell’azienda (da qui l’accusa di truffa, punita in Vietnam con l’ergastolo). Insieme avrebbero elencato alla banca dei marchi di alta moda inesistenti per garantire i prestiti. Incassato il denaro il gruppo avrebbe lasciato il Vietnam. Ma proprio qui sta il giallo, secondo la difesa di Polga. «La mia assistita ha lavorato realmente in Vietnam perché parla bene il francese, ma per sei mesi e da dipendente come addetta alle bolle per l’import-export, fra il 2011 e 2012 – spiega Cangiano – poi è stata licenziata ed è tornata in Italia, dove svolge tutt’ora lo stesso lavoro. È venuta a conoscenza del procedimento a suo carico in Vietnam solo quando la polizia ha operato l’arresto».
È inspiegabile, secondo la difesa, l’inserimento del nome della vicentina nell’inchiesta. «Vogliamo vederci chiaro, ho chiesto copia di tutta la documentazione dal Vietnam per capire da cosa nasce tutto questo», conclude Cangiano.
L’accusa Secondo le autorità vietnamite, avrebbe ottenuto 93 milioni per marchi inesistenti La difesa «Impossibile che abbia ricevuto quei soldi, non aveva alcun titolo per chiederli»