Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«In primavera potremo alzare le paratie del Mose»
Il provveditore Linetti: lo avrei chiuso già lunedì. Ma c’è chi lo contesta: non serve
VENEZIA Il giorno dopo l’acqua alta torna centrale il tema del funzionamento del Mose. Il Provveditore Linetti: «In primavera potremo alzare le paratie».
VENEZIA «A partire dalla prossima primavera, di fronte a una giornata del genere, io il Mose sono pronto a chiuderlo». La polemica sulle maree a Venezia e poi sulle dighe mobili non si è mai fermata, a mezzo secolo dall’«aqua granda» del 1966, a 36 anni dal famoso «Progettone» che fu il precursore del Mose e a 15 anni dalla posa della prima pietra: c’è chi dice che è sbagliato, che sarà finito nel 2021 e forse non funzionerà mai, che è corroso, e così via. Ma Roberto Linetti, provveditore alle opere pubbliche e dunque «committente» del Mose per conto del ministero delle Infrastrutture, mette un punto fermo: «Tra un mese circa terminerà la posa delle paratoie a Lido Sud, l’ultima schiera - dice - c’è qualche mese di ritardo sugli impianti, ma per la prossima primavera saranno pronti quelli in modalità provvisoria. A quel punto, anche se il sistema non è ancora “a puntino” e anche se non c’è ancora il gestore, lo possiamo usare». Lo avrebbe fatto anche lunedì, se fosse stato possibile. «Certo, alzandolo alle 8.47 e tenendolo chiuso per 21 ore e mezza, come dimostra la simulazione che abbiamo fatto, la città non si sarebbe nemmeno accorta di questa marea eccezionale - spiega Bisogna capire che il Mose non serve solo a non bagnarsi i piedi, com’è successo pure a me l’altro giorno: a rischio c’è la città, i suoi palazzi che vengono “mangiati” pian piano».
A questo punto però la domanda è automatica: perché, con i lavori al 94 per cento, non si riesce a dare quel colpo di reni per finire l’opera? «Ci sono problemi di contenzioso con le imprese, ma anche problemi di progettazione e altri intoppi - dice Linetti - Bisogna che tutti prendiamo coscienza che c’è un’esigenza di rapidità, come dimostra l’episodio di lunedì: i lavori vanno finiti, il Mose deve funzionare». Il messaggio è rivolto soprattutto al Consorzio Venezia Nuova, che è sotto la guida dei commissari Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola. A nominarli è stata l’Anac di Raffaele Cantone, che però in questa fase preferisce non commentare. Anche il ministro Danilo Toninelli fa sapere che parlerà più avanti del dossier. Certo è che se il Mose inteso come dighe potrebbe essere pronto tra alcuni mesi, ci sono tutta una serie di opere aggiuntive (compensazioni ambientali, ma anche riparazioni e soluzioni di problemi) ancora sospese, in fase di progettazione. «Qui bisogna accelerare e farlo bene», spiega Linetti. Nei giorni scorsi, al comitato tecnico del Provveditorato su tre progetti inviati dal Cvn solo uno è passato.
Ma il dibattito sul Mose non si ferma. Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, ancora con l’acqua fino alle ginocchia, aveva detto che il governo deve capire che va finito. «Il Mose va portato a termine quanto prima e dato in gestione allo Stato - dice la ascoltata deputata del M5s Arianna Spessotto - I problemi ci sono e il governo sta tentando di risolverli, ma non è facile». «Il governo non dice una parola sul dossier Venezia - attacca invece il deputato Pd Nicola Pellicani -. Non una parola sul destino del Mose, sulle grandi navi, sulla pulizia dei suoli di Porto Marghera». Chi si è sempre opposto alla grande opera contesta invece l’idea che possa essere la panacea di tutti i mali. «Grazie a #Zaia e tutta la cricca #Galan per aver buttato 6 miliardi e gli ultimi 20 anni nel #mose invece che intervenire sul riequilibrio della #Laguna», ha twittato Tommaso Cacciari. «È una bufala dire che il Mose è necessario - afferma il sociologo ed ex leader verde Gianfranco Bettin - Se invece che insistere su un’opera enormemente costosa, vecchia nella concezione e impattante, si fosse scelta un’alternativa meno costosa e più facilmente realizzabile, la città sarebbe già protetta da anni». E anche i consiglieri comunali del Gruppo Misto Renzo Scarpa e Ottavio Serena notano che il problema non è soltanto il Mose. «Il dato più evidente di quanto accaduto è la facilità con cui il mare entra in laguna a causa della distruzione ambientale dell’ultimo secolo - dicono - La laguna è un sistema complesso che va salvaguardato, curato, difeso, magari evitando di scavare nuovi canali o allargarne».