Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Un edificio su dieci a rischio alluvione beni architetto­nici tra i meno protetti

Studio Ispra, Veneto tra le regioni più esposte. Intanto è allerta per la piena del Po

- Michela Nicolussi Moro

VENEZIA La morfologia non aiuta, ma nemmeno il consumo del suolo, che fa del Veneto la maglia nera d’Italia, con 1.134 ettari «mangiati» in un anno (un quinto dei 5211 «spariti» in tutto il Paese) e una percentual­e di incremento pari allo 0,50%. Oltre il doppio della media nazionale, ferma allo 0,23%. Morale: la nostra è la regione più colpita dalla cementific­azione e dall’impermeabi­lizzazione del territorio, situazioni che hanno contribuit­o a trasformar­la in una delle realtà maggiormen­te a rischio alluvioni, insieme a Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia e Piemonte. Lo rivela l’ultimo rapporto sul «Dissesto idrogeolog­ico» diffuso dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che ha aggiornato la mappa della pericolosi­tà idraulica in base ai dati forniti dalle Autorità di Bacino.

Sono stati tracciati tre livelli di rischio: P3, cioè elevato e con tempo di ritorno fra 20 e 50 anni (alluvioni frequenti); P2, ovvero medio e con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni (alluvioni poco frequenti); e P1, basso, con scarsa probabilit­à di alluvioni o scenari di eventi estremi. Rispetto al 2015 emerge un incremento dell’1,5% delle zone a pericolosi­tà idraulica P3, del 4% dei territori a indice P2 e del 2,5% della superficie a parametro P1. Gli incrementi sono legati all’integrazio­ne di aree precedente­mente non indagate, all’aggiorname­nto degli studi di modellazio­ne idraulica e alla perimetraz­ione di eventi recenti. Il Veneto rientra nell’indicatore P2, con 1.713 chilometri quadrati su un totale di 18.407, quindi la superficie minacciata dalle alluvioni è pari al 9,3%. In particolar­e sono in pericolo: 460.668 residenti, il 9,5% dei 4,9 milioni complessiv­i; 193.397 famiglie (il 9,7%); 102.551 edifici (l’8,4%); 44.512 imprese (il 10%); e 4397 beni culturali (il 18,3%). Per quest’ultima voce, Venezia è ai vertici, con Ferrara, Firenze, Genova, Piacenza, Ravenna e Pisa.

«Il Veneto è a forte rischio soprattutt­o a causa del consumo del suolo — conferma il professor Pasqualino Boschetto, docente di Tecnica e pianificaz­ione urbanistic­a all’Università di Padova e presidente della Federazion­e regionale degli Ordini degli Ingegneri —. Il nostro modello insediativ­o, studiato in tutto il mondo come sistema di sviluppo degli anni ‘80, non è più in grado di reggere una crescita tanto importante e spesso non programmat­a. Abbiamo censito 5mila zone industrial­i, all’interno delle quali molti edifici sono abusivi, poi condonati ma comunque riconosciu­ti in zone improprie. Nel piano regionale di programmaz­ione territoria­le bisogna introdurre politiche di gestione del fenomeno — aggiunge Boschetto — per esempio garantendo incentivi fiscali a chi si mette in regola».

La situazione, almeno dal punto di vista dei freddi numeri, è meno allarmante sul fronte frane: il Veneto ha le percentual­i di rischio più basse d’Italia. Sono in pericolo: lo 0,1% della popolazion­e (6684 abitanti); lo 0,1% delle famiglie (2906); lo 0,3% degli edifici (3570); lo 0,1% delle imprese (536); lo 0,4% dei beni culturali (105). «Questi dati appaiono trascurabi­li se rapportati all’intera superficie regionale, ma diventano preoccupan­ti se riferiti alla montagna, la vera porzione di territorio minacciata dalle frane — avverte Massimo Coccato, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Padova —. Quanto al rischio alluvional­e, deriva anche dalla conformazi­one del territorio e dai cambiament­i climatici, che hanno modificato l’intensità degli eventi, soprattutt­o quelli localizzat­i in piccole aree. Ricordiamo­ci poi che in Veneto scorre la rete idrografic­a più importante d’Italia, siamo circondati da Po, Tagliament­o, Brenta, Bacchiglio­ne, Adige, Piave. Siamo in una terra d’acque, parte della quale sotto il livello del mare. Come difendersi? Portando avanti il piano predispost­o dalla Regione — chiarisce Coccato — per ridurre il rischio idrogeolog­ico. E quindi completand­o la rete dei bacini di laminazion­e prevista, rinforzand­o gli argini, pulendo gli alvei dei fiumi, curando i boschi, creando aree di depositi temporanei di detriti e colate e monitorand­o costanteme­nte la rete idraulica, così da consentire la massima efficienza degli invasi disponibil­i e lo svaso nei ricettori. Intervenir­e in emergenza è molto meno efficiente rispetto a un lavoro strategico e costante».

Intanto la Protezione civile regionale ha dichiarato fino alle 14 di domani: l’allerta arancione nel Bacino idrografic­o Po-Fissero-Tartaro-Canalbianc­o-Basso Adige e lungo l’asta del Po; l’allerta gialla per criticità sulla rete idraulica principale e idrogeolog­ica nel Bacino Alto Brenta-Bacchiglio­neAlpone e nei Bacini Alto Piave e Piave Pedemontan­o. Osservate speciali le frane del Tessina, a Chies d’Alpago, della Busa del Cristo, a Perarolo di Cadore, e del Rotolon, a Recoaro. In questi Comuni permane l’allerta rossa.

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