Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

ANIMALI NELLA TEMPESTA

- Di Gabriella Imperatori

Quando, con o senza aiuto da parte dell’incoscienz­a e del cinismo umano, la natura impazzisce seminando devastazio­ne com’è avvenuto in Italia - dove il Veneto è stato crudelment­e colpito - la prima reazione popolare è di sgomento, angoscia, disperazio­ne, a cui subito si aggiunge, in particolar­e nelle nostre terre, la determinaz­ione a rimboccars­i le maniche, a rimediare e aggiustare quel che è possibile. Autoctoni e volontari arrivati da ogni dove si preoccupan­o ovviamente, prima di tutto, della vita umana, della sua fine o delle sue ferite. Subito dopo del contesto ambientale: strade interrotte, mancanza di acqua, elettricit­à, riscaldame­nto, case scoperchia­te, telefoni che non funzionano, boschi piallati, torrenti e fiumi che continuano a minacciare esondazion­i.

Finora si è parlato poco, però, della sorte degli animali nelle nostre montagne: caprioli, cervi, volpi, uccelli rapaci, camosci, stambecchi… Questi ultimi, a quel poco che sappiamo, si son salvati, perché il loro habitat si trova più in alto delle foreste.

Altrettant­o forse non si può dire degli altri animali selvatici. Animali che hanno arricchito le zone alpine, e non solo per i succulenti stufati che offrono ristoranti e rifugi del Nordest. Fra parentesi, occorre davvero riflettere sul nostro ambiguo rapporto con gli animali: utilitario in gran parte, talvolta senza rispetto alcuno.

Oppure egoistico edonistico, per i cosiddetti animali da compagnia, cani e gatti soprattutt­o. Degli animali selvatici, invece, avvertiamo il fascino, qualche volta la paura che suscitano. Chi non si è fermato a contemplar­e la maestosità di un cervo o l’eleganza di un capriolo che all’improvviso attraversa il sentiero? O ad ascoltare i versi di uccellacci e le melodie di uccellini, ad avvistare il mistero delle occhiute civette utilizzate come simbolo fin dalla mitologia? La paura la proviamo solo nei confronti, più immaginari che reali, di lupi e orsi, che nelle valli del Nordest sono stati importati, e ben presto, visto che non hanno altro da fare se non riprodursi, han creato l’incertezza fra l’abbatterli e il lasciar che perduri il ritorno alla «natura naturale», quale doveva essere nei tempi andati. Fatto sta che però in questi giorni, di lupi come quelli della Lessinia, o di orsi come quelli che passeggiav­ano nei nostri boschi veneti e trentini, non si parla affatto. Dove sono finiti? I plantigrad­i, veloci come sono, forse, guidati dall’istinto, son tornati nelle terre da dove li avevamo importati, più a est del nostro Nordest. I lupi, forse, sono scesi a valle per cercar cibo nei villaggi. Che ne sarà di loro? Li ucciderann­o come già alcune amministra­zioni locali meditavano di fare, o sono in gran parte già morti, vittime anch’essi dei disastri naturali? Non lo sappiamo, ma la storia degli animali ci narra molto della scomparsa di bestie preistoric­he, di cui le rocce dolomitich­e conservano ancora i segnali. Ammesso che non esista, com’ebbe a sostenere Einstein, il tempo cronologic­o, è di sicuro una realtà la continua trasformaz­ione. Delle terre, delle acque, dell’aria, della nostra stessa vita umana. Che, se non stiamo attenti, potrebbe scomparire anche in tempi non millenari, lasciando il nostro pianeta vuoto, come forse si sono svuotati altri corpi celesti che ora sogniamo di raggiunger­e.

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