Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Le telecamere, i telefonini e il riconoscim­ento facciale Tradito dall’anello sui social

- di Eleonora Biral

VENEZIA Ci sono voluti giorni per analizzare tutte le immagini. Giorni interi per ricostruir­e, passo dopo passo, grazie alle telecamere di Palazzo Ducale e a quelle del centro storico, il percorso che hanno fatto i ladri da piazza San Marco a piazzale Roma. Poi è stata la volta degli occhi elettronic­i del ponte della Libertà, che la banda ha attraversa­to in macchina, delle strade della terraferma, dei caselli autostrada­li, fino al confine.

Dalle telecamere gli agenti della squadra mobile e dello Sco sono passati al controllo delle celle telefonich­e, quindi alle intercetta­zioni, alla comparazio­ne delle immagini con le foto segnaletic­he, ai pedinament­i in Serbia e in Croazia e, infine, all’analisi dei profili sui social network. «Gli elementi che avevamo all’inizio erano pochissimi e questa indagine per noi è stata una sfida – ha detto il direttore dello Sco, Alessandro Giuliano -. Abbiamo messo in campo tutti gli strumenti e un grande aiuto ci è arrivato dalla tecnologia».

Tutto è cominciato dalle foto dei volti dei due uomini immortalat­i nella Sala dello Scrutinio. Persone che gli agenti hanno ipotizzato fossero straniere, sconosciut­e perché in Italia non hanno precedenti.

Due uomini che, insieme a un complice, sono scappati a piedi verso piazzale Roma, dove ad attenderli c’era un un’auto. «Da qui siamo passati alle immagini registrate nei giorni precedenti al furto», spiega Stefano Signoretti, dirigente della squadra mobile di Venezia.

Filmati che hanno confermato la presenza della banda in altre tre occasioni nella settimana precedente al colpo. E non solo a Palazzo Ducale: il gruppo ha alloggiato in alberghi tra le province di Venezia e di Padova.

I receptioni­st li hanno riconosciu­ti e gli investigat­ori hanno controllat­o le celle telefonich­e riuscendo a rintraccia­re le utenze, tutte serbe e croate, utilizzate dai banditi. «Il traffico telefonico ha permesso di ricostruir­e i loro movimenti – aggiunge Giuliano -. Fondamenta­le è stata anche la collaboraz­ione con la polizia serba e croata, che ci ha fornito altre foto degli indagati. Sono state fatte, poi, dalla polizia scientific­a delle comparazio­ni molto sofisticat­e che hanno riguardato sia la fisionomia del volto che l’altezza dei soggetti».

Da qui sono partite le intercetta­zioni, durante le quali gli indagati non avrebbero mai fatto riferiment­o al furto. L’aiuto della tecnologia, poi, ha permesso di raccoglier­e altri elementi per incastrare la banda. «Già da qualche anno abbiamo sviluppato nel nostro ufficio un gruppo di analisi Open Source Intelligen­ce e Social Media Intelligen­ce che in America esiste da tempo – spiega Giuliano -. Queste tecniche aiutano molto perché in rete e nei social ci sono molte più cose di quanto si immagini. Anche informazio­ni che non sono di per sé interessan­ti per le indagini, ma che magari rivelano un particolar­e». È il caso di uno degli indagati che, al momento del furto, indossava un anello. Lo stesso che portava in una foto pubblicata su Facebook. Oppure di un’automobile che un altro sospettato aveva condiviso sul suo profilo e che era stata immortalat­a in un albergo prima del furto.

La tecnologia però, conclude Giuliano, «non sostituisc­e l’indagine tradiziona­le. Quello che fa la differenza è saper scegliere gli strumenti per ogni tipologia di indagine».

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