Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
A Padova le opere dei Bortoluzzi, dinastia di pittori
La mostra padovana «L’eredità dello sguardo» dedicata ad Alberto Bortoluzzi racconta la storia di una delle ultime dinastie di pittori
Privi di elementi umani, lontani dalla volontà di rispecchiare fedelmente una certa finestra sul paesaggio, ma, anzi, frutto del sovrapporsi di immagini reali e di altre filtrate dal ricordo. Sono i dipinti di Alberto Bortoluzzi, erede di una tradizione pittorica che si ripete da tre generazioni, portata avanti con i dovuti aggiornamenti sulla mutata sensibilità. Tre generazioni di pittori che saranno esposti da venerdì alla Galleria Civica Cavour di Padova nella mostra «L’eredità dello sguardo», a cura di Giorgio Chinea (fino al 13 gennaio, inaugurazione giovedì alle 18.30).
La personale del giovane artista padovano, con una trentina di opere di grande e piccolo formato, viene collocata nell’alveo di una continuità famigliare, a partire dal bisnonno Millo Bortoluzzi senior, di cui si possono vedere
La vecchia villa, esposta alla Biennale di Venezia del 1914, e
L’Abbandonata, scelta per l’Esposizione internazionale d’arte di Roma del 1911, passando per quelle dello zio, Millo Bortoluzzi junior, che di Alberto è stato maestro. «È come se il paesaggio potesse contare su una nuova vita avendo trovato dove riparare per non sparire dal mondo e dagli sguardi – scrive Virginia Baradel nella presentazione -, si sia messo in salvo nello studio dell’artista. Ora quel salvataggio sta dando buoni frutti: non più vedute, non più impressioni, non più tavolozza ma ebbrezza cromatica pura».
Ha ancora senso, dunque, oggi fare pittura di paesaggio, in un mondo così diffidente a ripercorre la via di una tradizione profondamente fondata proprio in Veneto, dove è costellata di capolavori? Alberto Bortoluzzi non ha dubbi: «Il paesaggio in pittura permette di spaziare, consente tantissima libertà – racconta -. Per me il paesaggio diventa un semplice pretesto, dove si può giocare sulla matericità o liquidità della pennellata, dove il significato è da ricercarsi nell’elemento cromatico». Perché il suo non è mai un dipingere descrittivo o alla ricerca di effetti iperrealistici, ma quello che ottiene, andando a ripescare nelle tracce della memoria, più che restando fedele allo sguardo, è quasi «un paesaggio ideale – lo definisce lui stesso -, che nella realtà non esiste, anche se rispecchia le vedute più belle del Veneto, dalla laguna alle Dolomiti». E che la tradizione di famiglia sia stata determinante nell’intraprendere questo cammino, Alberto Bortoluzzi lo ammette con orgoglio. Non a caso il suo studio si trova ancora oggi nel vecchio magazzino di caccia dello zio, in via Vescovado.
«Se il bisnonno già spingeva molto sul versante del colore – racconta -, lo zio fu capace di aggiornarsi sul cambiamento culturale che viveva nella seconda metà del ‘900. A me il compito di compiere un ulteriore passo rispetto ai tempi che viviamo». Con apprezzamenti che l’artista definisce trasversali, indipendentemente dal genere e dall’età. «Tre generazioni di pittori, tre stagioni della storia dell’arte – scrive ancora Baradel che hanno mutato radicalmente il modo di intendere la pittura, passata dal concetto di rappresentazione, all’im- pressione visiva e sensoriale, all’autonomia della composizione. Un crescendo di libertà di espressione che non potevano non crescere l’una sull’altra». «Con gli occhi del contemporaneo - scrive Giorgio Chinea, curatore della mostra – Alberto Bortoluzzi sa inventare paesaggi nuovi. Mondi pittorici che non tradiscono la poesia degli avi ma aggiungono freschezza di tratto e di pathos».
A compendio della mostra, saranno organizzati alcuni eventi sul tema del paesaggio nel Veneto: il 6 dicembre alle 18.30 Nicolò Calore, storico del territorio, terrà la conferenza «Il paesaggio veneto, storie di terre e di acque». Per il finissage, il 13 gennaio, il curatore Giorgio Chinea parlerà di «Cinema e paesaggio nel Veneto».