Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
INTEGRARE PER ESSERE PIÙ SICURI
Espulso un richiedente asilo spacciatore a Treviso: e altri sono pronti per il medesimo destino. Il segnale per la pubblica opinione – certamente apprezzato – è chiaro: se chiedi asilo in un paese, e sei da questo transitoriamente mantenuto, non lo tradisci, poi, facendo il delinquente. Ed è giusto che, se lo fai, tu venga rispedito da dove vieni. Inoltre, l’espulsione può funzionare da deterrente per altri richiedenti asilo tentati di percorrere una facile scorciatoia. Non cambia niente, invece, rispetto allo spaccio. Nella percezione comune, meno spacciatori può significare più sicurezza. Ma gli uni sono facilmente sostituiti dagli altri. Ad andare dentro e fuori le patrie galere (troppo spesso, e troppo presto fuori, anche quando dovrebbero stare dentro) sono delinquenti e spacciatori italiani e stranieri. In quanto delinquenti, non per la loro provenienza: a causa di un sistema farraginoso e inefficiente, che spesso non tutela davvero l’ordine pubblico. In questo senso, che lo spacciatore in questione subito rilasciato a piede libero sia italiano o straniero, non cambia nulla: è il sistema che è sbagliato. Con l’espulsione degli stranieri, lo miglioriamo? No, resta lo stesso: eliminare gli stranieri, espellendoli, non cambia nulla. Loro sono solo, da qualche anno a questa parte, i sostituti degli italiani nell’ultimo anello dello spaccio: quello più visibile, a maggiore rischio di essere beccati.
Immaginiamo non ci fossero più – nemmeno uno: niente più spaccio? Neanche per idea, finché la domanda (di italiani, in maggioranza) non calerà. Semplicemente verrebbero risostituiti da italiani, preferibilmente minori, più difficilmente imputabili. Risolto il problema, dunque? Purtroppo, no. Il problema dell’integrazione ha altre logiche, che richiederebbero altre iniziative. È un problema che si ripropone su un altro piano, a scala ben maggiore. Prendiamo un altro effetto, molto pubblicizzato, del decreto Salvini: la drastica diminuzione della spesa pro capite pro die per i richiedenti asilo, ovvero dei finanziamenti erogati a favore degli enti che se ne occupano (che, lo ricordiamo, lo fanno al posto dello stato, che non lo fa, mentre sarebbe compito suo). Passiamo dagli attuali 35 euro al giorno a 25 o addirittura 19, come si sostiene nelle stime più ottimistiche: il minimo europeo, probabilmente. Poiché le spese di vitto e alloggio sono di fatto incomprimibili, cosa si taglierà? I corsi di italiano, la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, i mediatori culturali, gli educatori: ovvero, le politiche di integrazione. Risultato certo? Meno integrazione. Conseguenza probabile? Meno sicurezza, più conflitti. Perché la sicurezza è data precisamente dalla condizione di regolarità e dall’efficacia dei processi di conoscenza e integrazione (abbiamo precedenti chiarissimi, in proposito: per qualche tempo i romeni sono stati al vertice degli indicatori di criminalità. Dopo l’ingresso nella Ue, e l’ottenimento della libera circolazione della manodopera, gli indici di devianza sono precipitati. Vuol dire che il tasso di criminalità non era dovuto all’essere romeni, e nemmeno all’essere stranieri, ma all’essere irregolari). Ed è un investimento, non una spesa improduttiva: ripagato rapidamente con le tasse ottenute dal lavoro regolare. Perché buttarlo via?
Non è un problema di schieramenti politici. Le scelte sono del governo attuale, ma il disastro di un’accoglienza gestita malissimo, senza progetto e senza controlli, è eredità dei governi precedenti: il disastro viene da lì. Il problema è decidere come ne usciamo. Non basta trovare un capro espiatorio: serve un progetto. Vogliamo più sicurezza? Sì. La risposta è più integrazione? Sì. E allora lì si deve lavorare: favorendola, non rendendola più difficile. Altrimenti pagheremo domani il prezzo del problema che non abbiamo voluto affrontare oggi. E il conto sarà molto più salato.