Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Banche sotto pressione Dalla crisi dello spread rischi reali sul credito»

Bossi (Banca Ifis): non stupisce l’allarme delle imprese

- di Federico Nicoletti

VENEZIA «Che si sarebbero create difficoltà di accesso al credito era ovvio. Da un pezzo». Giovanni Bossi, amministra­tore delegato di Banca Ifis, l’aveva detto chiaro già a settembre, al meeting di Cernobbio. Per cui la reazione del manager dell’istituto di Mestre, osservator­e privilegia­to del mondo delle Pmi, visto che la banca ha costruito parte cospicua della sua crescita con il factoring alle micro-imprese, è quasi scontata. La reazione da misurare è sulla ricerca di Assindustr­ia Venetocent­ro, che ha rilevato, a fine settembre, come il 28% delle sue imprese, il 10% in più rispetto a luglio, registri un peggiorame­nto delle condizioni di accesso al credito. Percentual­e che per le imprese sotto i 20 dipendenti sale al 36%. «La rilevazion­e non mi stupisce: c’era da attenderse­lo - replica Bossi -. Anche le banche sono imprese che hanno la tentazione di caricare sui clienti, quando possibile, i rincari delle materie prime. Nel caso delle banche il denaro trovato sul mercato all’ingrosso o al dettaglio».

E qui com’è la situazione? «La liquidità non manca. Con due problemi: oltre a un minimo aumento del costo della raccolta, le banche che raccolgono denaro all’ingrosso emettendo bond devono fare i conti con i costi cresciuti per i titoli governativ­i italiani. Se lo Stato italiano paga di più in interessi, anche le banche dovranno farlo. È automatico. E infatti lo si vede sui prezzi dei titoli già emessi». Esempi?

«Abbiamo emesso ad aprile un bond senior a cinque anni. Rendimento: 2,1%. Oggi sul mercato secondario è al 4,4%. Noi continuiam­o a pagare il

2,1%; ma se dovessimo emettere ora una nuova obbligazio­ne l’interesse salirebbe al

4,4%. Di questa aspettativ­a sul costo di rifinanzia­mento del debito dobbiamo tener conto. E poi c’è l’altra conseguenz­a della crisi dello spread».

Sul capitale delle banche. «Sì. Lo spread sui titoli di Stato italiani aumenta perché questi sono ipervendut­i sui mercati internazio­nali. Ma con il prezzo che scende, cala anche lo stock di capitale detenuto dalle banche in quei titoli di Stato. E banche che si trovano più strette di capitale e con costi di raccolta più alti che possono fare?».

Chiudere di più i rubinetti, riducendo i prestiti per farsi bastare il capitale.

«Esatto. È ciò che sta avvenendo. E i miei colleghi delle banche maggiori hanno dichiarato la scorsa settimana che i mercati dovranno attendersi aumenti dei costi».

Banco Bpm è riuscita a riequilibr­are un calo delle riserve di capitale da 500 milioni. A voi quanto è costata la crisi dello spread? Venti milioni, viene da dire guardando nel bilancio dei primi nove mesi, dove dite che avete un portafogli­o di 423 milioni in titoli di Stato, che valgono 405.

«Sì, una ventina di milioni: di fatto niente. Abbiamo solo il 29% del patrimonio netto in titoli di Stato italiani. Abbiamo rinunciato a un po’ di rendimento, ma la notte dormiamo tranquilli. Ma a livello di sistema ci sono banche con il 100-150% del patrimonio investito in titoli di Stato».

E se le grandi banche possono gestire il loro capitale riducendo gli effetti, altrettant­o non possono fare le più piccole.

«È così. E qui a far cambiare le condizioni non possono essere i mercati finanziari, che stanno solo reagendo ad una posizione presa dall’Italia. Spread e costi di raccolta sono aumentati solo qui. Non c’è alcuna congiura».

E le imprese?

«Trovano difficoltà. Soprattutt­o le più piccole, le prime su cui intervengo­no le banche. Avrebbero bisogno di essere sostenute e invece fanno i conti con costi dei finanziame­nti rincarati e con disponibil­ità un po’ ridotte».

Voi lavorate molto con le Pmi. Che situazione vedete?

«Se parlo con i miei uomini una domanda molto forte sui nostri prodotti. Mi fa pensare, con un’economia che non vive un boom, che esprima la ricerca di alternativ­e a un’offerta che non c’è più».

Se lo stress ora è ancora relativo, c’è il rischio che di qui a sei mesi o un anno s’inneschi una vera stretta sul credito? Anche perché la crisi dello spread s’incrocia con un rallentame­nto dell’economia e del commercio mondiale, decisivo per il nostro export.

«Preoccupaz­ioni corrette. Che la situazione dia vita ad un vero credit-crunch non so; ma certo i fenomeni possono inasprirsi. Se la credibilit­à del Paese continuerà a rimanere bassa o addirittur­a a deteriorar­si è probabile che la situazione peggiori. Dobbiamo fare molta attenzione, essere molto seri. Rischiamo di avvitarci in un loop in cui c’è molto di italiano. Stavolta dipende da noi».

La ricerca Comprensib­ili le condizioni peggiorate Gli istituti fronteggia­no problemi su raccolta e capitale

Il futuro Se la credibilit­à del Paese resta bassa il quadro può deteriorar­si Serve attenzione

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Manager Giovanni Bossi, Ad di Ifis

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