Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il capufficio all’ingegnere: «Lavativo e misogino» Ma non c’è diffamazione
VICENZA Il vostro capo al lavoro vi dice, mettendovelo anche per iscritto, che siete un «chiacchierone, disturbatore, improduttivo, perditempo»? Dandovi anche del «denigratore» e pure del «misogino»? Nella stessa mail girata in copia anche ad altri colleghi dello stesso ufficio? Sappiate che non vi sta diffamando. Nessuna offesa in quegli aggettivi usati. Solo vi sta facendo presente le vostre mancanze, cosa che è legittimato a fare da capo, in merito a questioni di lavoro.
La sentenza, che certo non può passare inosservata, è quella emessa due giorni fa dal giudice Chiara Cuzzi nei confronti di una bassanese, all’epoca, nel 2015, dirigente della Provincia di Vicenza (ora al lavoro in un’altra città). Finita a processo per rispondere di diffamazione dopo la querela presentata da un dipendente, un ingegnere residente nell’Alto Vicentino. Che si era costituito parte civile con l’avvocato Paolo Pentella chiedendo un risarcimento di 100mila euro. Sì, nessun errore: 100mila euro. Ma l’imputata, assistita dagli avvocati Paolo Mele senior ed Eduardo Mele, è stata assolta «perché il fatto non sussiste». A portarla davanti al giudice il contenuto di una mail riguardante questioni di lavoro e piccole tensioni emerse che aveva spedito il 6 novembre 2015 all’ingegnere che poi la querelerà ma anche ad altri dell’ufficio di cui era la responsabile. L’ingegnere, appunto, non aveva gradito le parole usate nei suoi confronti e dopo aver ricevuto dei procedimenti disciplinari aveva denunciato il capo ufficio. Il processo si è aperto e chiuso nella stessa udienza, senza che fossero sentiti i tanti testimoni citati. Per il giudice è stato chiaro fin da subito che mancava l’elemento oggettivo del reato e cioè l’offesa alla reputazione. «Gli epiteti – motiva il giudice riferendosi a “improduttivo, perditempo, misogino, denigratore, disturbatore, chiacchierone – non sono caratterizzati da alcuna offensività ma connotano le modalità di lavoro e di rapporti interpersonali che l’imputata ha ravvisato nell’operato del dipendente». E ancora: «Tale mail, peraltro, non è finalizzata unicamente a far presente al dipendente delle mancanze, circostanza peraltro più che legittima, atteso il ruolo rivestito dall’imputata, ma anche a diffidarlo dalla partecipazione a riunioni senza espresso invito e a spiegargli il mancato invito a partecipare» ad altre iniziative.