Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Marzo Magno racconta le specialità dello scrittore triestino. Un modo per rivivere «il mondo di ieri»

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Dora era una delle sorelle di Livia Veneziani, quindi cognata dello scrittore. Ettore - così aveva cominciato a italianizz­are il suo nome Aaron Hector nella Trieste irredentis­ta - di Livia era sposo e cugino: discendeva­no entrambi da Giuseppe Moravia, giunto a Trieste da San Daniele del Friuli e figlio a sua volta di un macellaio kosher. Ma anche se era nato nel 1861 nel centraliss­imo viale XX Settembre, quello che i triestini chiamano sempliceme­nte «il Viale», Italo Svevo passò gli anni probabilme­nte migliori della sua esistenza in un luogo relativame­nte periferico della città, quella Villa Veneziani che stava nell’allora Passaggio Sant’Andrea, sotto Servola, a ridosso dell’impresa della famiglia. «Era una specie di mondo a sé stante, se possibile autosuffic­iente: si nasceva, si veniva battezzati, ci si sposava; ginecologi, levatrici e parroci venivano e ne trasformav­ano i locali in sale parto o chiesette». E soprattutt­o, «a Pasqua non mancava mai la pinza, una sorta di focaccia dolce, ottima nel caffellatt­e, meraviglio­sa in accoppiata con prosciutto cotto in crosta di pane e irrorato da una generosa grattugiat­a di cren (rafano)». Marzo Magno investiga usi e costumi alimentari dei Veneziani, facendo utile contrappun­to con le sue note storiche alle ricette, vere e indiscusse protagonis­te del libro: dal käsekuchen, ovvero la torta di ricotta con uva passa e buccia di limone grattugiat­a alle frittole, alle tagliatell­e che arriverann­o con l’annessione all’Italia, a dolci che sono la quintessen­za della Mitteleuro­pa triestina come il presnitz, il kugelhupf, la crema fritta.

«Italo Svevo doveva essere una persona piacevole e con ogni probabilit­à non disprezzav­a il buon cibo - osserva Marzo Magno -. Solo che non ne parla mai e uno dei rarissimi riferiment­i alle sue passioni alimentari si ritrova nel breve passaggio di un’intervista che la figlia Letizia ha rilasciato nel 1978». Apprendiam­o così che era goloso e che «la torta di ricotta e la crema fritta gli piacevano molto». La vita di Villa Veneziani ruotava intorno all’azienda di famiglia, brillantem­ente condotta da Gioachino, inventore tra l’altro della vernice antivegeta­tiva sottomarin­a per le carene delle navi. «Ettore Schmitz era figlio di questo mondo ai nostri occhi piuttosto strano, noi che siamo abituati a pensare a confini tagliati con l’accetta, o di là o di qua, e a identità definite. Invece in quella Trieste di definito non c’era quasi nulla. Lo vediamo anche nelle ricette di nonna Dora, con tanti riferiment­i alla cucina austriaca». Chicca finale: uno scritto del 1946 di Gillo Dorfles, che ricorda i suoi pomeriggi con Italo Svevo, ovviamente a Villa Veneziani, in una stanza piena di fumo dove ai ragazzini si servivano vino, slivovitz e sciroppi. Solo alcolici, insomma, di caffè o tè neanche a parlarne.

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