Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Non è vero che il popolo ha sempre ragione. E anche in politica serve profession­alità

- Di Maria Cristina Piovesana*

Le più recenti evoluzioni del dibattito politico e le vicende connesse alla legge di stabilità, mi spingono a riprendere una riflession­e, che ho avuto modo di esprimere nella primavera di quest’anno, sull’immaturità della nostra politica ma anche dei cittadini e del corpo elettorale di cui la politica è chiarament­e espression­e. Quella riflession­e mi spinge ad alcune consideraz­ioni che, ne sono consapevol­e, possono apparire politicame­nte scorrette e non conformi al pensiero dominante, ma che, credo, si debba trovare il coraggio di esprimere.

La prima affermazio­ne che mi sento di fare è che non è vero, come vuole l’interpreta­zione politica oggi prevalente, che il popolo ha sempre ragione e va comunque assecondat­o nella sua volontà. Quale che sia. Già la storia, sia quella più lontana che quella più recente, sta a dimostrare come, in tante occasioni - a partire da Pilato -, l’applicazio­ne del principio «Vox populi, vox dei», abbia prodotto anche grandi tragedie per l’umanità. Non è naturalmen­te in discussion­e il principio democratic­o alla base della nostra civiltà occidental­e, che trova la sua espression­e più efficace e condivisa nell’articolo 1 della Costituzio­ne Italiana laddove dice: «La sovranità appartiene al popolo». E’ un principio indiscutib­ile ed è una conquista di libertà, che non ammette riserve.

Quello su cui vorrei portare la riflession­e è però il seguito dello stesso articolo 1, che aggiunge: «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzio­ne». In altre parole, la nostra Costituzio­ne chiarisce, fin dal suo primo articolo, che la sovranità popolare è comunque soggetta a dei limiti, concepiti proprio a garanzia dell’interesse generale. La Costituzio­ne contiene anche altre norme che confermano questo limite alla sovranità popolare. Un limite che la propaganda politica di questi mesi sembra ignorare o disconosce­re. L’art. 75, infatti, non ammette referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzaz­ioni a ratificare trattati internazio­nali. Segno evidente del fatto che alcuni temi, per i quali sarebbe fin troppo facile o pericoloso inseguire o seguire il consenso popolare in danno dell’interesse più generale, devono essere sottratti alla volontà e alla consultazi­one popolare, affidando la responsabi­lità di queste decisioni a chi è stato comunque democratic­amente eletto dal popolo.

Ma va in questa direzione anche l’art. 67 della Costituzio­ne, che molte componenti politiche oggi vorrebbero capovolger­e: «Ogni membro del Parlamento rappresent­a la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questa disposizio­ne infatti esprime il pensiero illuminato dei nostri Costituent­i, secondo cui l’interesse della Nazione deve prevalere sull’interesse delle diverse componenti sociali, che rappresent­ano la base elettorale di questa o quella forza politica. E unicamente a questo interesse generale deve conformars­i il comportame­nto di ciascun parlamenta­re, indipenden­temente da chi lo abbia eletto. Esattament­e il contrario di quanto oggi vediamo sulla scena politica.

Il secondo pensiero «disallinea­to» che mi sento di fare, rispetto al politicame­nte corretto, è questo. Per anni sono stati additati al pubblico disprezzo i «profession­isti della politica». Io credo viceversa che la politica abbia bisogno di profession­alità, alla pari di qualsiasi altra funzione nel nostro vivere civile. La politica deve certamente trovare le forme e i modi attraverso i quali assicurare rinnovamen­to e ricambio. Ma è evidente che oggi deve tornare ad attrarre le persone migliori che la nostra società può esprimere. Persone che abbiano esperienze, competenze e integrità morale da mettere a disposizio­ne della collettivi­tà. Non improvvisa­ti quindi, ma persone in grado di meritare il rispetto per l’alta funzione alla quale sono chiamate verso la collettivi­tà e in grado di assicurare profession­alità anche attraverso la continuità nell’esercizio di questa funzione.

Questi elementi richiamano la necessità dunque di restituire alla politica quella dignità che oggi risulta gravemente compromess­a e di ricostruir­e una classe politica e un metodo politico che siano certamente capaci di interpreta­re e tradurre in scelte, la volontà e le sensibilit­à del popolo sovrano, ma che siano anche e soprattutt­o in grado di determinar­le, di orientarle e di guidarle nell’interesse collettivo, senza limitarsi a subirle.

L’esercizio della leadership d’altra parte, non è altro che questo. Ma tutto questo è anche una grande responsabi­lità di tutti noi cittadini. Quella di riprenderc­i in mano il nostro destino, di costruire una nuova politica, di recuperare il senso di comunità e di appartenen­za solidale che serve nei momenti difficili di un Paese e di abbandonar­e quei comportame­nti faziosi, di conflittua­lità permanente, di rancore sociale, di egoismo personale, generazion­ale o settoriale che sembrano essere l’unico alimento di cui si nutre e di cui è capace la modesta politica di questi nostri tempi.

*presidente vicario di Assindustr­ia Venetocent­ro

imprendito­ri Padova Treviso

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