Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Raccattapalle sexy, Rosso querela: «Fango per una foto sui social»
Mister Diesel passa alle vie legali: «Una foto sui social e ora mi accusano di sfruttare le donne»
VICENZA Quella delle «ball girls», le ragazze del volley che fanno da raccattapalle alle partite del Vicenza Calcio, è un caso che può essere letto in tanti modi. È la vicenda di un imprenditore famoso in tutto il mondo, Renzo Rosso, che da presidente della società biancorossa si ritrova accusato di voler fomentare gli istinti più beceri del maschiotifoso vestendo le giovanissime (in gran parte sono minorenni) assistenti con pantaloncini troppo attillati. Ma è pure la storia – ed è la novità di queste ore – dell’uomo che si sente diffamato proprio da chi lo dipinge come colui che «avrebbe agevolato la violenza attraverso la relegazione del corpo della donna a oggetto da sfruttare» e che per questo sporge denuncia nientemeno che contro sette associazioni che da anni sono in prima fila contro femminicidi e violenza di genere.
Infine, è anche l’esempio di come la reputazione di ciascuno (specie se «famoso») oggi sia legata indissolubilmente al mondo dei social network, dove basta una foto per trasformare dei miti in mostri. Un meccanismo che – come ha dimostrato il caso cinese di Dolce e Gabbana, e ora quello più casalingo di Mister Diesel – può mettere nel mirino perfino il mondo della Moda, che proprio a internet si affida ogni giorno per «fare tendenza».
La denuncia appena presentata dall’avvocato Fabio Pinelli alla procura di Vicenza, ricostruisce la polemica che si trascina dal 23 settembre, quando il Coordinamento Iris – che raggruppa i principali centri antiviolenza del Veneto – diffuse un comunicato durissimo contro Rosso e la sua fondazione Only the brave, accusati di «aver mandato in scena (allo stadio, ndr) una delle pagine più tristi, umilianti e gravi nella storia della violenza e della mercificazione del corpo femminile». Un comunicato stampa – si legge nella querela firmata dall’imprenditore – «offensivo perché travisa la realtà», anche considerato che «nessuna delle ragazze coinvolte, o i loro genitori, ha lamentato di essere stata strumentalizzata». In fondo, è la tesi, basta paragonare i pantaloncini indossati allo stadio con «la tenuta sportiva delle pallavoliste o delle giocatrici di beach volley, per comprendere che non vi è nulla di scandaloso nella divisa esibita durante la partita. (…) Lo stesso si può dire dell’abituale mise estiva delle giovani, dove minigonne e shorts sono all’ordine del giorno, senza che nessuno li additi a modo di abbigliarsi da demonizzare».
Nella denuncia si ricostrui- sce anche l’antefatto, che innescò lo scontro. «La polemica – ricorda Rosso – è montata a seguito di una fotografia comparsa sui social e pubblicata da uno spettatore della partita, nella quale si inquadra di spalle una delle ragazze ed evidenzia che si intravedrebbe il fondoschiena, al di sotto dei pantaloncini indossati. Questa è stata la scintilla...». Su Facebook l’immagine è stata condivisa migliaia di volte, scatenando insulti e minacce. Tutto per colpa – scrive l’imprenditore – «della malizia di questo spettatore (…) che ha inteso fraintendere il significato dell’iniziativa scattando una foto alla quale ha voluto attribuire un significato equivoco a una delle ragazze».
Il Coordinamento Iris replica alla denuncia definendo «quello di Rosso un attacco gravissimo nei confronti delle associazioni che si battono contro la violenza sulle donne: siamo molto amareggiate». Per l’avvocato Pinelli, invece, «era inevitabile reagire ad accuse diffamanti».
Only the brave ha presentato a sua volta denuncia contro il Coordinamento. Per la vicepresidente della Fondazione (e compagna di Rosso), Arianna Alessi, «abbiamo dovuto sporgere querela per l’attacco gratuito, ingiustificato e violento che quelle associazioni hanno fatto, indirettamente, al nostro lavoro. Cambiare la cultura, proteggere e aiutare le donne in difficoltà, sono temi che devono vedere la collaborazione di quanti più enti possibili, non scambi di accuse infondate e offensive che non possono cadere nel vuoto. Non si combatte la violenza con altra violenza, fisica o verbale che sia».