Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
CODICE APPALTI FATE PRESTO
Il gruppo di Vittorio Veneto rimane con Lixil: «Adesso cresciamo insieme»
Sia chiaro, formare un cartello tra imprese per aggirare la concorrenza e alla fine alzare i costi dei lavori, è un reato. Così come utilizzare materiali scadenti o comunque diversi da quelli pattuiti. Seppellire rifiuti speciali e magari tossici negli scavi delle strade o di altre opere pubbliche, poi, è più di un reato: è un attentato alla salute dei cittadini. Tutte pratiche antiche e dure a morire: gli autori vanno individuati e colpiti con il massimo del rigore, senza fermarsi davanti a nomi più o meno eccellenti. Ben venga, dunque, l’operazione Grande Tagliamento, lanciata dalla Guardia di finanza di Gorizia, che ha aperto un’ennesima pagina di malaffare nel virtuoso Nordest. Eppure, nell’attesa che vengano individuate le precise responsabilità, una riflessione è d’obbligo, se non altro per le dimensioni dell’indagine: perquisizioni e sequestri di atti e documenti hanno coinvolto
120 società e 220 soggetti in
14 regioni. Un elenco lunghissimo. Di fronte al quale ha ragione Giovanni Salmistrari, presidente dell’Ance Veneto (l’Associazione dei costruttori edili), a storcere il naso: «È evidente che il sistema non funziona».
Proprio così. Nel mirino c’è il nuovo Codice degli appalti, entrato in vigore nell’aprile 2016, figlio tardivo dell’epoca di Tangentopoli e prodotto di una cultura che in ogni opera, dalla manutenzione stradale del priccolo comune alla realizzazione della Tav, vede annidarsi il rischio di nefandezze e mangiatoie incontrollabili.
VITTORIO VENETO Progetto abortito, Permasteelisa rimane ai giapponesi di Lixil perché l’amministrazione di Donald Trump ha proibito il passaggio di proprietà della società, e dunque dei suoi stabilimenti americani, ai cinesi di Grandland.
Il dietrofront arriva a ben 15 mesi dall’annuncio dell’accordo fra il colosso dell’edilizia di Tokyo, che detiene il controllo dell’azienda veneta, e la società di progettazione architettonica di Shanzhen, in base al quale il gruppo di Vittorio Veneto, acquistato dai giapponesi nel 2011, avrebbe dovuto essere ceduto per 467 milioni di euro. Decisivo, nello stop alla vendita, è risultato alla fine il mancato nulla osta opposto dalla Commissione per gli investimenti esteri negli Usa (Cfius). E visto che i quattro insediamenti di Windsor, Chicago, New York e Minneapolis di Permasteelisa Nord America realizzano da soli il 40% degli 1,3 miliardi di ricavi del gruppo, è ovvio che l’ostacolo non consente alternative.
Fino a oggi Lixil aveva ottenuto il via libera alla cessione dalle autorità corrispondenti di Pechino e di Tokyo, oltre che dell’Antitrust italiana. Ma diventano inutili le risposte degli altri Paesi del mondo in cui Permasteelisa opera, dall’Europa al Medio Oriente, se l’America dice no.
Un aspetto positivo, a guardare la vicenda con maggiore attenzione, comunque si può trovare. Lo scorso anno, guidata dall’amministratore delegato Kinya Selo, Lixil aveva avviato sin dall’inverno attraverso la banca londinese Barclays ricognizioni sui mercati per liberarsi dell’insegna trevigiana (pagata nel 2011 570 milioni, un prezzo più alto di quanto concordato poi con Grandland), ritenuta non più strategica alle proprie linee di crescita. Permasteelisa aveva richiamato l’interesse di fondi di equity, e si parlò di Lonestar e Alpha che avrebbero offerto non più di 350 milioni. Poi si affacciò l’investitore industriale e la trattativa fu condotta in esclusiva con Grandland, fino all’annuncio di agosto. Da poche settimane, tuttavia, il top manager alla guida di Lixil è cambiato e il nuovo Ad, Yoichiro Ushioda, al contrario del suo predecessore, sembra molto più interessato a tenersi stretto l’asset di Vittorio Veneto. E benché l’Ad di Permasteelisa, Riccardo Mollo, lo scorso anno avesse salutato con entusiasmo il previsto passaggio a Grandland, immaginando che con il mercato cinese il business avrebbe potuto «facilmente triplicare o addirittura quadruplicare», adesso pare soddisfatto di rimanere con Lixil. Il Gruppo di Tokyo, dice, «è pienamente impegnato nel supportare e lavorare con Permasteelisa per ridare all’azienda solide basi che ne favoriscano la crescita. Concluso questo periodo di incertezza, lavoreremo intensamente con i nostri azionisti per consolidare la nostra posizione di leadership nel mercato».
Così il problema si trasforma in opportunità e adesso non rimane che dedicare i prossimi due o tre anni, come assicurano i giapponesi, allo «sviluppo di una strategia per supportare la crescita a lungo termine di Permasteelisa come parte di Lixil».
Il caso è a suo modo esemplare. Per Maurizio Castro, manager che è stato impegnato in varie aziende multinazionali, quanto accaduto «è la prova che la geopolitica è tornata a irrompere negli affari. Cioè la globalizzazione non è soltanto business e bisogna tenere conto che anche le attività industriali hanno un loro ruolo nel posizionamento di un Paese sullo scacchiere internazionale». Cioè, nell’affare Lixil-Grandland, per la Casa Bianca la tensione dei rapporti con i cinesi pesa più di ogni altra considerazione sul piano degli affari. «Questo ci ricorda – conclude Castro – che non è possibile una politica industriale sganciata da scelte chiare di politica estera».