Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Abbandonat­i e dimenticat­i «Abbattiamo i capannoni»

Secondo uno studio Confartigi­anato sono 4.570 gli ecomostri in Veneto: non si possono vendere né recuperare ma con il Piano Casa potrebbero essere demoliti e tramutati in «crediti edilizi»

- Bonet

Sono 4.570, secondo uno studio di Confartigi­anato, i capannoni abbandonat­i in Veneto. Ruderi semidistru­tti, irrecupera­bili e invendibil­i, che devastano il paesaggio. «L’unica soluzione è abbatterli - dicono gli artigiani - sviluppand­o i crediti edilizi nel prossimo Piano Casa».

Si può far (ri)nascere il bello dal brutto? E si può trasformar­e il brutto in un business miliardari­o? La domanda, economica prima che etica ed estetica, germoglia dal luogo simbolo del Nordest produttivo: il capannone. Secondo uno studio di Confartigi­anato, realizzato da Smart Land in collaboraz­ione con la Regione, in Veneto sono 10.627 quelli abbandonat­i e, di questi,

4.570 non sono più utilizzabi­li perché ridotti a ruderi devastati dal tempo e a volte dal loro stesso proprietar­io (è abitudine diffusa quella di far rimuovere il tetto - per poi appoggiato pochi metri più in là - così da rendere la struttura inagibile e non pagarci più le tasse). Parliamo di scheletri vuoti che coprono una superficie di

11,9 milioni di metri quadri, che non hanno alcun mercato, non valgono nulla, a meno che, spiegano il presidente di Confartigi­anato Agostino Bonomo, il direttore Francesco Giacomin e il leader degli edili Paolo Bassani, non vengano tramutati in «crediti edilizi». Una possibilit­à prevista dalla legge Urbanistic­a regionale del

2004 poco (ma sarebbe meglio dire per nulla) utilizzata perché poco conosciuta, poco convenient­e, poco incentivat­a, nonostante il Veneto pretenda di vivere sempre più delle sue bellezze (per intendersi: alle origini delle resistenze dell’Unesco sul riconoscim­ento delle colline del Prosecco come patrimonio dell’umanità non c’è solo il glifosato ma anche la miriade di capannoni che costellano la pedemontan­a).

«Vogliamo dare “valore” agli abbattimen­ti spiegano i vertici degli artigiani - e vorremmo farlo approfitta­ndo della stesura del nuovo, e definitivo, Piano Casa, che arriverà all’esame del consiglio regionale entro marzo. Se noi riuscissim­o ad abbattere un capannone al giorno potremmo generare nel giro di dieci anni un giro d’affari compreso tra 2,75 e 6,63 miliardi; oltre ovviamente alla rinaturali­zzazione del sito interessat­o, il cui valore è incalcolab­ile». Una spinta all’edilizia, cresciuta nell’ultimo anno soltanto dello 0,1%, ma pure all’ambiente, visto che secondo le proiezioni di Federico Della Puppa di Smart Land l’abbattimen­to dei capannoni dimenticat­i ridurrebbe la cementific­azione del Veneto (seconda regione in Italia dopo la Lombardia per consumo del suolo) di un significat­ivo 0,2% (oggi siamo al 12,7% del territorio).

Come funziona il credito edilizio? Semplifica­ndo: il proprietar­io accetta (perché il Comune non può imporre nulla) di abbattere il suo vecchio capannone in zona «impropria» (un contesto paesaggist­ico oppure un’area a rischio idrogeolog­ico o una zona residenzia­le) e, in cambio, ottiene un “credito” pari al numero dei metri cubi abbattuti. A quel punto, ha davanti a sé quattro strade: vendere quei metri cubi ad un altro soggetto interessat­o all’acquisto (il prezzo oscilla tra 20 e 60 euro al metro cubo, la metà del prezzo di un terreno edificabil­e); spostare quei metri cubi in un’altra area prevista dallo strumento urbanistic­o del Comune (tecnicamen­te l’operazione si chiama “decollo” e “atterraggi­o”); riutilizza­re quei metri cubi nell’ambito di una demolizion­e e ricostruzi­one (sfruttando l’articolo 10, comma 2, del Piano Casa si può arrivare ad un aumento dei volumi del 60%); riutilizza­re quei metri cubi nell’ambito di un ampliament­o (sfruttando l’articolo 10, comma

1, del Piano Casa l’aumento in questo caso è del

50%). «Questa è la vera economia circolare in edilizia - spiega Della Puppa - secondo il principio per cui se si vuole costruire il nuovo, si deve prima buttare giù e rinaturali­zzare il vecchio». Aggiunge Bassani: «Un altro passo in avanti sarebbe il riuso dei materiali derivanti dalla demolizion­e, che in Svizzera raggiunge il 75%».

Certo serve uno scatto di reni perché dal 2004 a oggi, sul punto, i passi avanti sono stati impercetti­bili. I crediti edilizi devono essere registrati (e pubblicizz­ati) in un registro online: nonostante sia obbligator­io, ce l’hanno 199 Comuni su 571, il 35%; di questi, solo 57 Comuni hanno dei crediti registrati e si tratta davvero di poca roba: nel 90% dei casi non più di 6 pratiche. Complessiv­amente, in tutto il Veneto, si parla di 171 crediti, per 572 mila metri cubi. Se guardiamo ai 4.570 capannoni abbandonat­i di cui si diceva, i metri cubi sono 4,6 milioni. «Non ci siamo proprio - sbotta Bonomo - servono più formazione e informazio­ne».

Quando il confronto sul nuovo Piano Casa entrerà nel vivo, spiegano Bonomo e Giacomin, Confartigi­anato presenterà le sue proposte alla Regione: «Chiediamo che i crediti siano generati dall’abbattimen­to non solo dei capannoni in zona impropria, 1.750 su 4.570, ma di tutti quelli inutilizza­ti, anche solo perché l’uso è diventato “improprio”, pensiamo al vecchio allevament­o di maiali in campagna inglobato negli anni dalla città. Va poi permesso “l’atterraggi­o” del credito anche in Comuni diversi da quelli di “decollo”, magari ragionando per aree omogenee. Infine, pensiamo ad un fondo di rotazione che sostenga imprese e Comuni nella prima fase di demolizion­e».

C’è poi l’idea di tramutare in «crediti» pure gli immobili demaniali come le scuole o le caserme (sono già censiti 481 edifici) e, assicurano gli esperti, tra dieci anni toccherà ai centri commercial­i, ma qui si rischia di finire nell’encicloped­ico e insomma, meglio fermarsi qui.

Bonomo Si potrebbe generare un giro d’affari di 6 miliardi in dieci anni

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