Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

MEDICI, SERVE UN PIANO

- Di Paolo Gubitta

Da una parte, l’allarme lanciato in Veneto sui bandi di concorso per medici che vanno deserti o che riescono ad attirare un numero di candidati inferiore ai posti disponibil­i, così da lasciare scoperte posizioni chiave all’interno dei nostri ospedali (cfr. Corriere del Veneto del 31 gennaio). Dall’altra, la preoccupaz­ione per la possibile fuga verso la pensione dei medici che rientrano nei parametri di «Quota 100», l’ipotesi di trovare degli incentivi per convincerl­i a rimanere in corsia e il puntuale riaffiorar­e, come una sorta di fiume carsico, della questione del numero chiuso a medicina. Infine, i funzionari di strutture sanitarie straniere che arrivano in Veneto e in incognito (si fa per dire) corteggian­o i nostri medici con pacchetti retributiv­i competitiv­i (cfr. Corriere del Veneto del 16 gennaio).

Il dibattito che si è aperto attorno ai 1.295 medici che mancano in Veneto è stucchevol­e. Vediamo perché. La formazione del capitale umano è un processo di per sé lungo e per alcune profession­i dell’area sanitaria (tra cui, appunto, i medici) lo è ancora di più. La carenza di competenze (skill shortage) di cui si discute oggi non può passare come un fulmine a ciel sereno: è una situazione che poteva essere prevista. Le tecniche consolidat­e di programmaz­ione del personale permettono di individuar­e con largo anticipo i fabbisogni di personale

Permettono di avviare per tempo le azioni correttive, per evitare il rischio di non avere le persone da collocare nelle posizioni strategich­e. È impossibil­e pensare che non siano state fatte simili proiezioni e, quindi, la ragione dell’attuale deficit va trovata altrove.

I neolaureat­i in medicina che intendono lavorare in ospedale devono frequentar­e una Scuola di specialità: nel nostro Paese, questa opportunit­à è offerta al 70% dei laureati (al 90% in Veneto). Al netto di quelli che optano per fare i medici di base (percorso ad hoc di tre anni), agli altri restano due strade. La prima è mettersi in coda e aspettare che si liberi qualche posto in una Scuola di specialità: oltre ad essere deprimente, è un costo per le famiglie e per la società. Provate solo a immaginare il disagio (eufemismo) che avranno provato i «mancati specializz­andi» nel leggere che oggi non ci sono medici a sufficienz­a, visto che per quei posti avrebbero potuto concorrere loro se ci fossero stati più posti disponibil­i. La seconda strada è prendere la via dell’emigrazion­e per causa di forza maggiore. In sostanza, il modello formativo che il nostro Paese, più o meno consapevol­mente, ha adottato non onora il patto formativo implicitam­ente sottoscrit­to con le matricole di Medicina ed è il principale artefice dell’emorragia di capitale umano qualificat­o. Rispetto a questo quadro, prendersel­a con «Quota 100» vuol dire stravolger­e la realtà invece di affrontarl­a di petto. C’è poi l’annoso tema del numero chiuso per Medicina. Rimuoverlo per una necessità contingent­e equivale a fare un «condono fiscale»: è demagogico, è diseducati­vo e, nel caso specifico, è anche inefficace. La sequenza delle azioni da intraprend­ere è stata ben delineata dal Rettore dell’Università di Padova (cfr. Corriere del Veneto del 1 febbraio): eliminare il collo di bottiglia dei posti disponibil­i nelle Scuole di specialità; aumentare il numero di matricole di Medicina in linea con i fabbisogni espressi dal sistema. Altro che prendere la scorciatoi­a della liberalizz­azione degli accessi.

Resta infine il tema della mobilità dei medici sul mercato del lavoro. La realtà è che anche nel sistema sanitario non è chiara la strategia di employer branding, per convincere i medici che abbiamo a rimanere dove sono, per attirare medici da altri mercati e per offrire ai più giovani le opportunit­à di costruire qui il loro futuro. Con livelli retributiv­i rigidi e poco competitiv­i, serve esplicitar­e cosa il sistema offre in termini di benefici funzionali, intangibil­i e psicologic­i per dare all’esperienza lavorativa un senso più ampio del mero stipendio. Tra dare incentivi per posticipar­e i pensioname­nti di chi è al termine della carriera e puntare tutte le risorse possibili sulle Scuole di specialità per chi la deve ancora iniziare, non c’è paragone.

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