Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Lo strano caso del sindaco che governa senza giunta
Assessori licenziati e mai sostituiti Bergamin governa da re a Rovigo Ma fino a quando? E può farlo?
ROVIGO Il capoluogo polesano vive da una settimana una situazione kafkiana: il sindaco leghista Massimo Bergamin ha licenziato tutta la giunta, non si dimetterà e, un vuoto legislativo gli permette lo stallo: un sindaco-re.
ROVIGO Nella Repubblica italiana c’è un’enclave monarchica, con un sindaco re che accentra su di sé tutti i poteri della giunta. E’ la paradossale realtà che da una settimana esatta vive Rovigo, dove il leghista Massimo Bergamin ha licenziato in tronco e in blocco tutti e 8 gli assessori, al culmine dell’ennesima crisi interna, forse quella definitiva. Stavolta, infatti, non sembrano essere le «solite» turbolenze che accompagnano l’ex autista di bus dall’insediamento nel giugno 2015 e che lo hanno costretto a ben 5 rimpasti, con la sostituzione di tutti gli assessori della formazione iniziale, salvo il civico centrista Antonio Gianni Saccardin che, però, non è scampato alla ghigliottina dell’azzeramento del 31 gennaio.
Una mossa d’impeto di fronte all’impietoso quadro dei numeri, precipitato ben al di sotto del margine di sicurezza con l’uscita dalla maggioranza di Obiettivo Rovigo (Or), gruppo guidato dall’eterno Paolo Avezzù, ex sindaco forzista e attuale presidente del consiglio comunale. Non hanno, infatti, preso le distanze formalmente da Bergamin solo 13 consiglieri in un consesso di 32 eletti, con ben 19 voti potenzialmente disponibili per una chiusura anticipata. Ciò nonostante, dopo 7 giorni, lo stallo continua e, se la politica non riuscirà a risolvere il rebus, non vi è certezza che i codici possano imporre un termine perentorio all’anomalia del sindaco re. Il testo unico degli enti locali non pone espressamente limiti di tempo alla ricostituzione della giunta, mentre lo Statuto comunale indica un tetto di 15 giorni, pur non definendo eventuali sanzioni nel caso venga superato.
Per questo la struttura tecnica del Comune starebbe predisponendo un quesito per capire dall’Anci come comportarsi. Bergamin, indisponibile a dimettersi, temporeggia e, dopo essere scomparso quattro giorni (ufficialmente per una febbre improvvisa, motivo con cui pare abbia dato buca via sms ai vertici provinciali di Fi e Lega che lo attendevano per chiarimenti), lunedì è tornato in campo dando vita a nuove originali iniziative come le consultazioni iniziate poi il giorno successivo (dai più snobbate, forzisti e Or in primis) per la ricostituzione dell’esecutivo, o la convocazione, per oggi alle 11, di un vertice sul bilancio, aprendo in ambo i casi alle minoranze.
Queste ultime non riescono ad accordarsi sulla «esecuzione» del sindaco. C’è chi vorrebbe andare immediatamente dal notaio (Pd e Lista Menon), chi vuole portare in aula la mozione di sfiducia (lanciata da Ivaldo Vernelli, Italia in Comune), chi prende tempo sostenendo vada approvato il bilancio prima dell’eventuale commissariamento (Matteo Masin, civico di area Prc) per sanare le molte situazioni critiche, anzitutto i circa 8 milioni di debito delle piscine che potrebbero mandare in default le casse. E nemmeno in ciò che resta della maggioranza, in cui la sola Presenza cristiana indica apertamente la necessità di arrivare alla scadenza naturale del 2020, nessuno pare volersi assumere l’onere di premere il grilletto.
Non la Lega che, sebbene tra i consiglieri ci sia voglia di staccare la spina, non può azzoppare a cuor leggero il proprio primo sindaco a Rovigo, per di più città capoluogo. Fatica a esporsi Fi, che non vuole ripetere il film visto a Padova con la caduta Massimo Bitonci e ritiene l’atto definitivo tocchi al Carroccio. Or sarebbe disposta a sparare solo con il placet espresso di leghisti e azzurri, perché il leader Avezzù, già determinante per la caduta del civico di centrodestra e predecessore di Bergamin Bruno Piva, non vorrebbe nuovamente il cerino in mano.
Però qualcuno dovrà recidere il nodo gordiano e domani i responsabili provinciali di Lega e Fi, Fausto Dorio e Piergiorgio Cortelazzo rispettivamente, dovrebbero trovarsi per capire come uscirne. Il tutto tenendo conto dell’eventuale ritorno alle urne. Se la caduta avvenisse prima del 24 febbraio ci sarebbero i tempi tecnici per il voto anticipato al 26 maggio, in caso di concomitanza tra amministrative ed europee. La caduta immediata è possibile solo con le dimissioni in blocco di almeno 17 consiglieri, cioè la maggioranza, davanti a un notaio. La mozione di sfiducia, dal deposito con almeno 13 firme, prevede almeno 10 giorni di decantazione prima della discussione e del voto a maggioranza in aula che, comunque, non può essere convocata entro i 30 giorni.
” Dal notaio A palazzo Nodari Pd e Lista Menon vogliono andare dal notaio per sfiduciare Bergamin