Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I Ciardi, il paesaggio è di famiglia Opere fra ‘800 e ‘900
Da veri veneziani innamorati della campagna i Ciardi raccontano atmosfere venete di terraferma nella bella mostra che apre oggi a Conegliano, Palazzo Sarcinelli, curata da Giandomenico Romanelli, con Franca Lugato e Stefano Zampieri. Una sessantina di opere della famosa famiglia di pittori, provenienti da collezioni pubbliche e private, ruotano atto r no a l te ma del t i to l o « I Ciardi. Paesaggi e giardini» nella scelta di campo determinata dai curatori: niente Venezie e lagune, cavalli di battaglia soprattutto di Guglielmo e Beppe, ma affondo nello sguardo «verde» dei tre grandi paesaggisti veneziani.
Guglielmo (Venezia 18421917) esordisce giovanissimo nella scia della veduta classica, in mostra un acquerello inedito assai precoce, per assorbire presto la lezione di Domenico Bresolin, suo maestro all’Accademia. La svolta ben evidenziata nella prima sala del Sarcinelli si dispiega nella felicità di un piccolo olio Il Grappa d’inverno, una ve- dutina orizzontale dove tre fasce cromatiche determinano con lieve nettezza campi, monte innevato, cielo: da qui in poi Guglielmo sotto un grande, usuale ombrello bianco, solleciterà il pennello a ritrarre dal vero i rigogli della natura e i rigori delle rocce con pennellate a tratti divisioniste, sicure, luminose.
La bella sala dedicata al Sile rivela la viandanza pittorica del Ciardi senior, incantati e antipittoreschi acquitrini fluviali, pioppi svettanti nel vento, gagliardi gorghi d’acqua del fiume trevigiano, colti dal vero; dilatato il respiro nella verità dell’immagine, Guglielmo si sofferma sulle crode dolomitiche per ritrarre un grandioso Sorapis, colto dal lato nord, dai prati alti sopra Misurina. I paesaggi alpini mettono a confronto i talenti del padre con il figlio Beppe (Venezia 1875-Quinto di Treviso 1932), dopo il vano tentativo di Guglielmo di tenere lontano dalla pittura il primogenito. Più rapida e larga la pennellata di Beppe, come nella furia giovanile di superare il maestro e padre: difficile il rapporto umano tra loro, più semplice, più simbiotico quello di Guglielmo con la figlia Emma( Venezia 18791933), tanto da diventare a volte il padre mimetico della giovane, come ben esposto in mostra – nella sala Contaminazioni- la serie di piccoli appunti paesaggistici urbani nel viaggio che Emma fece a Londra e in centro Europa, accompagnata dal padre. Quel poco di toscaneggiante che era rimasto nel pennello paesaggistico di Guglielmo si dissolve e scompone nel tratteggio nervoso, dinamico delle vedutine londinesi, tanto vicine alla maniera di Emma, giovane talento eppure già affermato nel mercato anglosassone. Così al Sarcinelli una sala dedicata a questa donna determinata ne racconta in breve l’aspetto noto - quello dei giardini settecenteschi popolati di aggraziate damine - più estesamente e deliziosamente quei suoi bozzetti dal vero nei giardini amatissimi.
Di Emma anche un raro, ampio interno di palazzo, dominato dal rosso nella stenografica pennellata e due paesaggi collinari e arborei, dallo studio di Refrontolo, dove questa artista fragile nel fisico ma d’acciaio nel carattere, trascorrerà un ultimo tempo operoso. Al fratello Beppe, che troverà doloroso distacco dalla famiglia a causa di un non gradito matrimonio, sono dedicate le sale finali di palazzo Sarcinelli, dove l’artista si esprime con più larga varietà di temi e modi, prima fortemente influenzato dal padre nei larghi paesaggi solari (in mostra Terra in fiore esposto alla Biennale del 1899, dove ritrae la moglie sgradita al padre) poi dal suo maestro all’Accademia Ettore Tito; approfondisce così lo studio della figura, popolando le sue opere di esterni veneziani, piccole narrazioni, in una felicemente instabile modalità creativa. La mostra si conclude con due opere di Beppe dall’influsso simbolista, ultima fase della sua poetica: particolarmente interessante Plenilunio , ispirato alla celeberrima Isola dei morti di Arnold Böklin.