Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA RIFORMA NELLA TENAGLIA

- Di Alessandro Russello

Il governo a bassa velocità, dopo aver fermato la Tav - destinata al binario morto o in alternativ­a penalizzat­a da un compromess­o al ribasso - rallenta anche l’autonomia chiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, autonomia salita sulla locomotiva lanciata contro una rivendicat­a ingiustizi­a («Il Nord paga e il Sud spreca») e ora pericolosa­mente vicina allo scartament­o ridotto. Per cui la fine del percorso propositiv­o del regionalis­mo differenzi­ato sancito dalla bozza d’intesa con il governo centrale che sembrava preludere all’inizio di una nuova stagione, rischia di diventare l’inizio della fine. Un’autonomia potenzialm­ente stritolala in una tenaglia del consenso il cui orizzonte è rappresent­ato dalle prossime elezioni europee. Con l’M5S che prenderà sempre più le difese del Sud e l’ex Lega padana in versione sovranista che dovrà vedersela con il seguente sudoku: difendere le istanze del Nord e la ragione sociale per la quale è nata (il federalism­o) e al contempo garantire al Sud che un solo euro non gli sarà tolto. Una nemesi, per Salvini. Che nell’amorevole guerra tra i due vice premier ha il compito più duro.

Mai il Capitano avrebbe pensato di dover tenere calmi i suoi prendendo (anche) le parti di un Meridione storicamen­te allergico al partito del Nord e ora sempre più pronto a salire su Carroccio (dall’expoit delle politiche a Reggio Calabria allo stellare 40 per cento dell’Abruzzo, seppur in coalizione). Nessuno nella Lega avrà mai il coraggio di mettere in discussion­e l’uomo che ha conquistat­o l'Italia raccoglien­do con il cucchiaino il partito liquefatto nel 3 per cento dello scandalo diamanti. Ma i governator­i Luca Zaia e Attilio Fontana non stanno sicurament­e dormendo notti tranquille. Dopo i milioni di voti raccolti con due imponenti referendum e la prospettiv­a di uno storico passaggio rappresent­ato dall’otteniment­o dallo Stato di strategich­e competenze e della comparteci­pazione del gettito fiscale generato da Irpef, Ires e Iva sui territori, rischiano di veder svanito o ridimensio­nato il loro sogno: vincere la «madre di tutte le battaglie». Ma anche per la stessa Emilia Romagna, guidata dal governator­e dem Stefano Bonaccini e firmataria di una bozza certo meno «radicale» di quella venetolomb­arda, il viaggio verso il regionalis­mo differenzi­ato non sarà comodo. L’effetto tenaglia rischia di far transitare sul binario semimorto anche la Regione che ha maggiormen­te coniugato nella sua proposta la rivendicaz­ione autonomist­a con quella solidale. Quello di giovedì scorso, per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, doveva essere il grande giorno. Con la ricezione, da parte del premier Conte, della «bozza d’intesa» confeziona­ta dopo un lungo lavoro da Erika Stefani, il ministro (leghista) per gli Affari regionali e le Autonomie. Sappiamo com’è finita. Con il vice premier Salvini arrivato con un tot di ritardo al consiglio dei ministri e il premier Conte uscito prima che Salvini entrasse. Altro che giorno «storico». E’ successo che «sul traguardo» l’intero Sud si è rivoltato contro la «secessione dei ricchi» e che i Cinque Stelle, pur dichiarand­osi sempre favorevoli alle autonomie regionali(dopo aver infilato una serie di «no» durante la trattativa) hanno presentato una sorta di contro-dossier nel quale si ravvisa l’incostituz­ionalità della bozza Stefani. Contro -dossier da cui prendono a loro volta le distanze i 5 Stelle del Nordest, («al Sud fanno terrorismo»). Insomma, un caso Tav al contrario. Con la Lega a difendere la bontà di una riforma peraltro incardinat­a nell’articolo 116 della Costituzio­ne (paradossal­mente partorita dal centrosini­stra nel 2001) e l’M5S lesto a intravvede­re l’occasione di riconquist­are i consensi perduti in questi mesi diventando ulteriorme­nte il «sindacato del Sud». Di fatto, giovedì l’Italia ha «scoperto» il sopito (non certo nel Nordest) nodo dell’autonomism­o, riproposto dalla Lega dopo l’abbandono della devolution, accantonat­o durante gli anni della Grande Crisi e riemerso con la celebrazio­ne dei referendum di Veneto e Lombardia. Un processo che a dispetto di una «questione meridional­e» ha posto il tema della «questione settentrio­nale». Tradotto con la metafora iniziale: oliare la locomotiva (il Nord) per trainare tutti i vagoni (il Sud). Non solo o tanto attribuend­o più risorse, ma dando la possibilit­à alle regioni che l’autonomia l’hanno richiesta di gestirle direttamen­te in parte sul territorio (sottintend­endo in modo più virtuoso).

Un’autonomia la cui stella polare è rappresent­ata dalle (irraggiung­ibili) Province autonome e «speciali» di Trento e Bolzano, non toccate dall’ipotesi di riforma approdata giovedì al consiglio dei ministri ma non esenti da un costante confronto con Roma. Sia per difendere le proprie prerogativ­e sia ottenere ulteriori forme di autonomia. Emblematic­a la difesa , sia per Trento che per Bolzano, della «cassaforte» della società che gestisce l’A22 del Brennero, sulla quale ha messo occhi e mani il ministro Toninelli. E indicativa, da parte della Provincia di Bolzano, l’idea di ottenere - sulla scorta della richiesta veneta - maggiori competenze in ambito ambientale.

Insomma, autonomia trascina autonomia. Sud permettend­o. Con qualche avvertenza. Se il tema del federalism­o solidale non è derogabile e va difeso (ad esempio per la tenuta dei livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale), non sembrano tollerabil­i dinamiche di spesa che vedono all’opera in ospedali omologhi il doppio dei medici o dei primari. Difficile dar torto a Zaia quando sostiene che la cattiva sanità del Sud non è certo attribuibi­le a quella che viene definita la «secessione dei ricchi». Poi, se il metodo sia quello di uno «strappo» nel solco della Costituzio­ne o di una riforma generale in un paese irriformab­ile si può anche discutere. Ovviamente non per l’eternità.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy