Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Commission­i e Camere l’iter del provvedime­nto

- di Marco Bonet

L’attesa, ora, è tutta rivolta al «tavolo politico chiarifica­tore» tra il premier Conte e i due vice Salvini e Di Maio. La data non è ancora stata fissata (era annunciato entro questa settimana) ma è lì che si capirà se l’autonomia andrà avanti o no, se c’è la volontà di Lega e Movimento Cinque Stelle di portare la riforma fino in fondo o se invece, dietro l’alibi del confronto tecnico con ministeri e parlamento, si finirà per insabbiare tutto.

Se arriverà il via libera, la Regione dovrà chiudere con i ministeri riluttanti (Sanità, Infrastrut­ture, Ambiente e Beni culturali: tutti pentastell­ati) la trattativa sui 56 articoli dell’intesa e qui potrebbero volerci settimane, anche nelle previsioni più ottimistic­he. Non è un caso che Salvini abbia dato come orizzonte «la primavera» (il 21 marzo) e che il governator­e Luca Zaia abbia indicato a «dopo le Europee» (il 26 maggio) la deadline prima della «sconfitta per tutti».

Per allora dovrà essere risolto anche il rebus del coinvolgim­ento del parlamento che, stando alla lettera dell’articolo 116, deve approvare il disegno di legge contenente l’intesa a maggioranz­a assoluta dei suoi componenti. Ma «è impensabil­e che le Camere siano chiamate a pronunciar­si su un testo immodifica­bile, prendere o lasciare» dice Sandro De Nardi, professore in Istituzion­i di diritto pubblico dell’università di Padova e componente della delegazion­e trattante nominata a suo tempo dall’ex sottosegre­tario agli Affari regionali Bressa, «questo sia per la centralità che il parlamento ha nel nostro ordinament­o, sia perché proprio al parlamento, nell’ambito del processo di devoluzion­e, viene chiesto di spogliarsi di parte della sua potestà legislativ­a a favore del consiglio regionale».

La questione è controvers­a, perché quando nel 2001 fu riformato il Titolo V della Costituzio­ne non fu chiarito nel dettaglio l’iter da seguire per dare attuazione all’articolo 116: si tratta di stabilire un percorso completame­nte nuovo. I giuristi guardano con favore al modello delle intese con le confession­i religiose, che hanno una prassi consolidat­a che però non prevede la possibilit­à per il parlamento di modificare il testo una volta che questo è stato firmato.

«La soluzione potrebbe essere quella di coinvolger­e Camera e Senato prima della firma dell’intesa, così che governo e Regione possano poi recepirne le aspettativ­e, ricalibran­do il testo - spiega De Nardi -. Il confronto potrebbe svolgersi nella Commission­e per l’attuazione del federalism­o fiscale o nella Commission­e per le questioni regionali, che hanno natura bicamerale, oppure nelle Commission­i Affari costituzio­nali di Camera e Senato». Il parlamento avrebbe così voce

in capitolo, ma non potestà di apportare modifiche sostanzial­i. Un percorso che ridurrebbe pure il rischio di ricorsi alla Consulta da parte dei singoli parlamenta­ri, che viceversa potrebbero lamentare la lesione delle loro prerogativ­e

In questa fase, prosegue il costituzio­nalista del Bo, «occorre gettare ponti più che costruire barricate» anche perché i numeri a Roma non lasciano ben presagire: i deputati del Centro-Sud, a Montecitor­io, sono 347, ben 32 in più della fatidica soglia della maggioranz­a assoluta pretesa dall’articolo 116. «Se si segue questa strada la meta si fa più difficile e i tempi si allungano - ammette De Nardi ma alla fine si avrebbe la certezza di un testo inattaccab­ile, gradito alle Camere e approvato con un procedimen­to che lo collochere­bbe a metà tra la legge ordinaria e quella costituzio­nale».

Infine, non va trascurato il ruolo del Presidente della Repubblica: «È certo che eserciterà fino in fondo le sue prerogativ­e, non solo quando si tratterà di promulgare la legge ma anche prima, quando governo e Regione gli chiederann­o l’autorizzaz­ione per presentare di comune iniziativa la legge in parlamento».

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