Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Le tre lettere del marito assassino «Mi aveva chiesto lei di aiutarla»
Renato Berta, che ha ucciso la moglie malata, ha lasciato diversi scritti per i figli
VENEZIA Una dava indicazioni testamentarie, comprese quelle per la banca. Una, probabilmente precedente, il consenso al trasferimento della moglie in una struttura. Ma il motivo della tragedia è contenuto nella terza lettera scritta di proprio pugno da Renato Berta, l’85enne veneziano di Castello che giovedì sera, poco prima di mezzanotte, ha ucciso con due coltellate al petto la moglie Licia Zambon, 82 anni, gravemente malata. Una pagina lasciata sul tavolo in cui Berta si rivolge ai «cari figli», dicendo di non disperarsi perché «era l’unica soluzione». Berta scrive che la situazione era divenuta «insostenibile» e che anche un eventuale ricovero – a differenza di quanto aveva scritto in precedenza – non avrebbe risolto nulla: «Anche perché lei non vuole».
Ma è soprattutto un’altra frase che, seppur sibillina, potrebbe gettare una luce diversa sulla tragedia. «Mi aveva chiesto lei di aiutarla», scrive Berta. Solo lui però, quando verrà interrogato, potrà chiarire se questo volesse dire che la moglie aveva chiesto di porre fine alla sofferenza di una serie di malattie, in primis cardiopatia e demenza senile, che di fatto l’avevano costretta a letto. Infine dallo scritto appare chiaro che l’uomo dopo il delitto ha assunto numerosi psicofarmaci per uccidere anche se stesso, visto che dava disposizioni di cremare sia lui che la moglie e di mettere le ceneri nella stessa urna. «Se non dovessi morire - aveva profetizzato - la giustizia farà il suo corso giustamente».
E infatti Berta non è morto, ma è ricoverato all’Ospedale Civile di Venezia, dove è sottoposto agli arresti domiciliari, accusato dal pm di turno Paola Tonini di omicidio volontario con l’aggravante del rapporto di parentela. Non è stato dunque in grado di partecipare nella mattinata di ieri all’interrogatorio di garanzia di fronte al gip Marta Paccagnella, che si è riservata la decisione per domani. Il suo difensore, l’avvocato Pietro Speranzoni, sta lavorando per trovare un domicilio in cui possa stare, visto che per l’età non potrà comunque stare in carcere e l’ospedale non può evidentemente trattenerlo a lungo, dato che le sue condizioni starebbero migliorando. L’ipotesi più probabile è che uno dei tre figli – Chiara, Nicola ed Elisabetta, che vivono tra Mestre e Marghera – decida di prendersi in casa l’anziano padre. «A parte la gravità oggettiva di quanto è successo, credo che non ci siano più esigenze cautelari così stringenti», dice il legale, che sta anche valutando se chiedere un accertamento psichiatrico sull’omicida.
Ieri pomeriggio l’avvocato Speranzoni ha incontrato i figli e ora attende le loro decisioni. I tre fratelli sono molto scossi e hanno ripetuto in continuazione che non si sarebbero mai aspettati una cosa del genere, che non c’era