Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I «corruttori» dell’ex cancelliere Titomanlio verso il processo
BASSANO Non solo mazzette per far affidare incarichi e dispensare «piaceri» ma anche «soffiate» per far riscuotere ad altri, attraverso documenti falsi e un’azienda creata ad hoc, assegni di decine di migliaia di euro rimasti da incassare dopo le procedure di esecuzione immobiliare. Quelle del suo ufficio. Stefano Titomanlio, bassanese di 55 anni, l’ex funzionario del tribunale di Vicenza corrotto, è uscito di scena meno di un anno fa patteggiando più di due anni e nove mesi di reclusione, e ora si avvicina il momento del processo per le persone che avrebbe favorito in cambio di soldi e piaceri (anche solo promessi). Insomma, i suoi presunti corruttori. Il pubblico ministero Claudia Brunino ha infatti chiuso le indagini preliminari a carico di quattro indagati (tra cui un avvocato milanese) accusati a vario titolo anche di truffa. Per loro potrebbe chiedere presto il processo. A partire dall’ingegnere Antonio Nicastro, 62enne di Marano Vicentino, allora insegnante e consulente del tribunale arrestato con Titomanlio il 28 settembre 2018, dopo che gli aveva consegnato, nel suo ufficio di palazzo di giustizia, una mazzetta da 250 euro, parte della liquidazione di una pratica ottenuta. A quanto pare solo l’ultima di una serie. Per l’accusa infatti Nicastro da gennaio 2016 a giugno 2017 avrebbe promesso e corrisposto soldi «in più occasioni» a Titomanlio, che così gli faceva ottenere degli incarichi come perito e gli accelerava le liquidazioni. A ricevere l’avviso di conclusioni indagini anche i tre legati allo scandalo degli assegni rimasti da incassare dopo le aste e consegnati a chi non ne aveva diritto. Quindi Ortensia Mottin, 52enne di Sandrigo, con cui il bassanese «manteneva stretti contatti» per arrivare a rendere moneta sonante i vecchi titoli, e i suoi presunti complici Antonio Pallante, 63enne di Brescia, e l’avvocato Roberto Edoardo Ercole Golda Perini, 57enne di Milano, già finito nei guai con la giustizia. A far scattare la nuova fase di indagini era stato quanto emerso nel cellulare e pc di Titomanlio: così si era arrivati a capire che l’allora cancelliere – è l’accusa - informava la vicentina della possibilità di incassare degli assegni «dimenticati» in tribunale. Sì perché dopo la vendita degli immobili, soddisfatti i creditori, possono rimanere eccedenze che si tramutano in assegni per le parti. Ma questi titoli non vengono sempre reclamati. È il caso di un assegno da oltre 22mila euro destinato a una ditta di Dueville che Mottin e Pallante avrebbero ritirato a nome di una società (di cui il bresciano risultava amministratore) che risultava avere lo stesso nome della reale destinataria ma con sede a Milano. I tre (incluso il legale) non sarebbero invece riusciti ad incassare un secondo assegno da oltre 61mila euro, che avrebbero preteso con documenti falsi, «inducendo in errore la parte offesa e i giudici incaricati dell’esecuzione». Mottin e Golda Perini avrebbero raggirato una valdagnese (a cui spettava l’assegno) presentando in tribunale un’istanza a suo nome, nella quale chiedeva che quel titolo venisse ceduto a Pallante, che aveva un credito da 100mila euro.