Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«H-Farm, è l’anno della maturazione»
Scenari Piattaforma stabile, d’ora in poi si cresce
RONCADE (TREVISO) L’anno della grande maturazione. La piattaforma è stabilizzata, d’ora in poi si cresce. Sono le espressioni con cui Riccardo Donadon, presidente di HFarm, rilancia l’azione dopo i risultati di bilancio 2018, nei quali, pur a fronte di un utile ancora negativo (-4,9 milioni), la marginalità lorda legata alle attività caratteristiche della società sale finalmente sopra lo zero (1,1 milioni), trascinata anche da ricavi oltre i 61 milioni.
Per leggere meglio il significato di «maturazione», in ogni caso, occorre assumere un concetto chiave: il progetto elaborato 14 anni fa, quando H-Farm fu fondata, di operare solo come incubatore-acceleratore d’impresa, non basta più e si è reso necessario, in anni più recenti, affiancare al business originario altri due altri filoni d’impresa. Cioè il supporto alle aziende nei processi di trasformazione digitale e quello, più complesso e di prospettiva più lunga, della formazione, dalla scuola primaria fino all’università.
«Vero, l’incubatore è un modello non sostenibile da solo – riconosce Donadon – ma quello che riusciremo a portare a casa dall’esperienza svolta fin qui sarà comunque un risultato positivo. Abbiamo investito 28,4 milioni, per metà già rientrati attraverso le exit (cessione di quote di aziende nel frattempo fatte crescere, ndr) e le plusvalenze arriveranno nei prossimi tre anni. Poche settimane fa, per esempio, abbiamo ceduto il controllo della piattaforma per l’ecommerce della moda Depop, concepita qui nel 2011, per un importo pari a sei volte l’investimento iniziale di 700 mila euro». All’inizio dell’esperienza di H-Farm, si immaginava comunque che lo schema di far nascere nuove imprese o accelerare aziende innovative e promettenti potesse bastare. «Il modello non è sbagliato, continua a essere un driver importante per il rilancio dell’industria nazionale. Ma non è un asset che ci consenta di contare su una crescita certa, perché è esposto a fattori ingestibili. In un settore come il nostro, nell’arco di un anno cambiano le traiettorie. Il che non significa che l’approccio non fosse corretto. Lo è tuttora».
Al contrario, il filone scolastico garantirà una continuità sulla quale poter progettare investimenti e crescita futura?
«Parlano i numeri. Siamo passati dai 180 ragazzi del 2015 agli 870 di oggi, grazie anche a operazioni di acquisizione di istituti esterni. Gli iscritti all’università sono 180, Big Rock, la scuola di computer grafica e realtà virtuale, ha raddoppiato le frequenze». L’altro grande filone è quello dell’accompagnamento delle imprese all’era digitale. A che punto è il percorso? «Abbiamo fatto grandi passi avanti nella diffusione della consapevolezza dell’importanza del tema ma stiamo ancora grattando la superficie, l’Italia è sempre fanalino di coda negli indicatori, non brilliamo per implementazione di queste cose. Permane una grande difficoltà da parte delle aziende italiane nell’investire sui temi del cambiamento ed è anche per questo che insistiamo sulla trasformazione culturale, dunque sulla formazione. La digitalizzazione non la si fa solamente comperando consulenze o aziende che siano già esperte nella materia».