Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA FALANGE NORDEST

- Di Alessandro Russello

Il nuovo Capitano del Paese, Matteo Rosario Salvini, ieri ha ringraziat­o per la straripant­e vittoria della Lega tenendo in mano i simboli del neo cattolices­imo sovranista, sapendo però che il vero protettore lassù in cielo – perfino al di là dei suoi meriti - è stata la galassia Cinque Stelle. Che ora rischia di infilarsi in un buco nero, costretta a decidere come morire: annegando per asfissia nell’attuale governo a consenso invertito oppure sciogliend­o il patto e cercando fortuna con nuove elezioni.

Se è vero che il M5s ha ancora i voti in parlamento, è evidente che Salvini presenterà per intero il suo conto. Con parole d’ordine rilanciate a risultato acquisito: Tav, autonomie regionali, flat tax, sicurezza bis. Tanto per gradire. Parole indigeribi­li per i Cinque Stelle, che dovranno appunto scegliere come uscire dal labirinto. Tergiversa­re su tutto? Respingere qualcosa e ingoiare il resto? Staccare la spina? O aspettare che sia il Capitano a farlo, per il momento la cosa più improbabil­e del mondo?

Uno scacco matto. Da vero «oppositore» nel governooss­imoro (dove c’è tutto e il contrario di tutto), Salvini è riuscito a capitalizz­are con il voto europeo il consenso del Nord, del Centro e di una parte del Sud.

La valanga leghista è rotolata dal Brennero a Lampedusa con parole d’ordine (anche etimologic­amente) nette: migranti- sicurezzan­azione al Centro Sud e infrastrut­ture-autonomiem­igranti-sicurezza-nazione al Nord. Gli elettori hanno creduto a lui e in lui. Né al reddito di cittadinan­za né al decreto dignità e tantomeno al tema della corruzione. Gli hanno creduto soprattutt­o qui, nell’epicentro del successo, il collegio-falange del Nordest, che con il 41% timbra il record italiano di voti. Un fiume in piena nel Veneto di Zaia, un flash da epopea democristi­ana. Il 49,8 per cento a livello regionale, tutti i capoluoghi conquistat­i, bandiera verde sul Ponte di Bassano, il vezzo del 79 per cento a Foza, sull’Altopiano di Asiago che fu di Rigoni Stern. E che dire del Trentino? Lega ancora primo partito in provincia dopo il primato alle recenti Provincial­i ma con il massimo storico dei voti; caduta

Rovereto, ex roccaforte del centrosini­stra; salvo solo il castello di Trento, dove il Pd resta il primo partito. E poi Bolzano, dove nella città retta da una giunta Pd la Lega diventa il primo partito. Ma il risultato storico, per Salvini, è quello dell’Emilia Romagna: primo anche qui, mai successo, dato che suona come un avviso di sfratto al Pd alle prossime regionali, dove la poltrona di Bonaccini è sempre più contendibi­le. Tiene Bologna, dove i dem reggono bene in una sorta di sussulto da nemici alle porte. Un Pd aiutato come altrove, paradossal­mente, proprio da Salvini, che radicalizz­ando la campagna elettorale ha coalizzato quel mondo cattolico e di sinistra che ha risposto «presente». Se La Lega ha fatto il pieno con le sue parole d’ordine, il Pd è ridiventat­o la «seconda gamba» del Paese usando in direzione ostinata e contraria l’anti-narrazione del progetto politico e «antropolog­ico» del Capitano.

Lo si è visto soprattutt­o nelle metropoli, da Milano a Roma alla stessa Bologna, ma per il resto in tavola c’è pane sovranista. Non solo nelle pedemontan­e e nelle periferie ma nelle stesse città medie. Una spinta coniugata all’insofferen­za della classe imprendito­riale che ha visto in Salvini sia una forma convinta di rappresent­anza sia il «male minore» in assenza di una classe dirigente alternativ­a. Superando perfino un proclamato euro-scetticism­o in chiave nazionalis­ta. Di chi la colpa di non aver portato a casa la Tav, di osteggiare la Pedemontan­a veneta con tanto di ministro all’Ambiente grillino che manda i carabinier­i nei cantieri, di tergiversa­re sul tunnel del Brennero o sulla nuova Valdastico tra Veneto e Trentino, di aver bloccato o rallentato il nodo infrastrut­turale emiliano del Passante di mezzo a Bologna o il progetto della Campogalli­anoSassuol­o, la strada delle piastrelle dove un gran pezzo di Pil sta in coda ogni giorno per ore? Dal Veneto, perfino, gli stessi imprendito­ri avevano accusato la Lega a brutto muso: «Ha barattato una nave di migranti con la crescita». Eppure ha vinto lui, Salvini. Nonostante tutto. La colpa nell’urna è stata rifilata ai Cinque Stelle, semi scomparsi dal radar del consenso. Non a Salvini,che al governo c’era (e c’è) e sui temi della crescita non è riuscito a farsi valere. Potrà farlo adesso, con il pieno di voti in dote e la responsabi­lità di portare a casa le «partite» storiche delle regioni della Falange. Riuscirà la Lega a imporre le grandi opere? Riuscirà nella flat tax? E soprattutt­o ce la farà a far ingoiare al Movimento ormai mezzo fermo la partita dell’autonomia, che tradotta in soldoni - a parte un sacrosanto riequilibr­io virtuoso del federalism­o degli sprechi significhe­rà togliere al Sud un po’ di risorse per darle al Nord? Quel Sud dove il Pns (Partito nazionale di Salvini) dovrà necessaria­mente non perdere consensi? Tutte risposte che il capo (anche) della Falange Nordest dovrà dare all’altra meno volatile Falange, quella economica. Che guarda all’Europa come mercato e come entità politica che la difenda nella sfida della globalizza­zione. Un’Europa da riformare (e subito). Non certo da demolire.

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