Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Delitto e castigo, è il «solito» Verona Ma la città ora sogna
Delitto e castigo. Poi, la redenzione. Se cercate una squadra che, nella storia del calcio italiano, avrebbe potuto ispirare Fëdor Dostoevskij, ebbene, l’avete trovata. Il Verona, l’Hellas, così c’è nato, da quando, nel 1903, al liceo classico «Scipione Maffei» un gruppo di ragazzi appassionati a quel nuovo sport arrivato dall’Inghilterra, il football, decise di fondare un club che lo praticasse. Il loro professore di greco, Decio Corubolo, suggerì di scegliere, come il nome, Hellas. La Grecia, appunto. La patria delle lettere e delle arti. Di pagine di letteratura, i gialloblù, ne hanno scritte centinaia.
Anche in questa stagione non si sono fatti mancare niente. Retrocessi nello sprofondo, dopo un campionato di Serie A di sconcertante modestia, l’Hellas aveva ricominciato daccapo, affidandosi a Fabio Grosso, l’uomo del Mondiale di Berlino. Ma Grosso, fin dalle prime partite, non ci ha preso granché, anzi. Nel frattempo, è montata con vigore la rabbia verso Maurizio Setti, che dal 2012 è presidente del Verona. In un territorio in cui gli imprenditori locali, sebbene opulenti, hanno sempre faticato a investire nell’Hellas (nel 1991 la società fallì, lasciata a un crack che poteva essere evitato), il comando l’ha preso un carpigiano che ha fatto i soldi con la moda. Manila Grace, intimo femminile.
Setti è stato accolto con un misto di scetticismo, sentimento che sovente caratterizza il veronese (e il veneto) nei confronti del foresto, ma pure con le aspettative che accompagnano ogni innesto in una compagine dirigenziale. I risultati brillanti delle prime stagioni – promozione in A, doppia salvezza – avevano posto Setti al di
sopra delle critiche per le sue mancanze: freddezza verso l’ambiente, troppo distacco, una gestione molto di testa e non di cuore dell’Hellas.
Peccati gravissimi, per un pubblico come quello del Verona, visceralmente legato ai propri colori, all’identità, alle tradizioni. Terminato il tempo delle vacche grasse, Setti è stato travolto dalla contestazione. Ma una leggenda del passato, Ugo Pozzan, diceva: «Prima di tutto, il Verona». Ed è quanto è avvenuto in queste settimane. Il sospirato cambio in panchina, con Grosso esonerato, rimpiazzato da Alfredo Aglietti, uno che dell’Hellas è stato pure capitano, è stato il soffio di un vento nuovo. Dalla buca in cui era piombato (e che, al debutto di Aglietti, proprio a Cittadella, si era fatta ancora più cupa, per il rovinoso 3-0 subito e la provvisoria uscita dalla griglia dei playoff), il Verona si è rialzato. Ha sconfitto il Foggia, ha eliminato il Perugia e il Pescara. La Curva Sud espone sempre uno striscione: «In A o in B, Setti vattene».
Eppure, in un istante, come per ogni grande, immenso amore, la gente si è riavvicinata all’Hellas. La pioggia, sempre scesa in abbondanza nelle ultime quattro partite giocate, ha lavato via i peccati. Contro tutto, contro tutti, il Verona e il suo popolo continuano ad andare avanti. C’è un altro, lungo passo da fare. In 116 anni, l’Hellas non ha mai smesso di emozionare questa città. È una religione apocrifa, e per questo unificante: i padri raccontano ai figli, la memoria si conserva. Al Bentegodi, il luogo sacro di ogni cuore gialloblù, c’è una grande messa laica da celebrare.