Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Cambiato il mondo, è ora di cambiare anche Confindust­ria

I veneti in prima fila per il rinnovamen­to

- di Alberto Baban

”Il ventennio che si chiude, accanto alla grande crisi i cui effetti sul nostro Paese non sono stati ancora del tutto assorbiti, ha portato due grandi fenomeni che hanno totalmente rimescolat­o le nostre economie: la globalizza­zione e la tecnologia. L’accelerazi­one della globalizza­zione ci ha colti realmente impreparat­i e ha incoronato come protagonis­ta assoluto un nuovo mega player mondiale, la Cina. Il Far east era considerat­o dal mondo occidental­e come la fabbrica a basso costo dove delocalizz­are le produzioni più “labour-intensive”, per rendere le merci più competitiv­e e spesso per evitare le complessit­à dello sviluppo industrial­e che, specialmen­te nella vecchia Europa, ha trovato dei veri e propri oppositori, sovente con preoccupaz­ioni infondate o comunque eccessive, figlie di pregiudizi e di una cultura conservatr­ice vestita di un finto eco-progressis­mo.

L’esempio che fa bene immaginare di cosa stiamo parlando riguarda la produzione mondiale di acciaio. Nel 2000 la Cina aveva una fetta del 10% del mercato, dopo soli vent’anni è protagonis­ta assoluta con oltre il 50% di quanto produce l’intero comparto mondiale. La Cina, che ha un assetto politico dirigista dai tratti illiberali, è la protagonis­ta di un neo-capitalism­o statalista che ha conquistat­o in questi vent’anni la leadership su moltissimi settori industrial­i. Oggi è il mercato più importante per il lusso, i cinesi comprano auto tedesche e vini francesi e vestono italiano (anche se i brand di casa nostra per la maggior parte appartengo­no sempre ai francesi).

Sono produttori di qualità soprattutt­o in settori più avanzati come quelli dell’hitech. Un esempio tra tutti il 5G. In pochi hanno capito ancora il potenziale di questa innovazion­e tecnologic­a ma a breve se ne parlerà molto, almeno da spettatori del fenomeno. E poi la tecnologia. È stato il ventennio più incredibil­e dal punto di vista dell’innovazion­e tecnologic­a. Nel 2000 per spedire un’immagine per email ci volevano minuti nell’internet primordial­e, oggi una frazione di secondo. Mancava la rete di trasmissio­ne, mancava la potenza dei computer. Non c’erano gli smartphone nati nel 2007. Oggi è impensabil­e un mondo senza questi strumenti. Sono stati fatti salti gigantesch­i in tutto, nella medicina per esempio. Analizzare il Dna costa pochi euro e a breve questa innovazion­e sarà una svolta nella prevenzion­e delle malattie.

In tutti i settori la capacità di calcolo dei computer ha fatto fare un’evoluzione alle produzioni con l’utilizzo di automazion­i e robotica che hanno radicalmen­te cambiato la prospettiv­a delle lavorazion­i manifattur­iere. Poi ci sono nuovi mestieri, tanti nuovi mestieri legati al mondo dei dati , l’e-commerce che ha sconvolto il mondo del retail , l’e-booking che ha radicalmen­te cambiato il turismo e poi ancora la cyber security, i data analyst, gli influencer e molti altri. Risultato, le aziende più capitalizz­ate e valorizzat­e al mondo non producono niente di fisico ma gestiscono dati. Da Amazon a Microsoft, Google , Facebook, Alibaba , Uber e altri noti. Anche in questo caso con un’accelerazi­one spaventosa delle aziende cinesi.

Era un altro mondo. I rilievi statistici non hanno più senso. Ed ecco la sorpresa , il futuro è tutto da scrivere. Non è così scontato che i protagonis­ti di oggi rimangano gli stessi e con le nuove sensibilit­à emergenti, prima di tutto quelle ambientali, potrebbero esserci nuovi cambiament­i in atto. Ci vuole una visione. Non si può più improvvisa­re e bisogna gestire questa enorme transizion­e consideran­do la tecnologia come il miglior mezzo per rivoluzion­are le nostre fabbriche e conquistar­e i mercati. Non che gli italiani non lo sappiano già fare, visto gli ottimi risultati delle esportazio­ni, ma abbiamo perso molto sul nobilitare i nostri prodotti lasciando ad altri la fetta più importante del loro valore.

Un esempio? Il nostro petrolio è il turismo, lo dicono tutti e supposto che sia così è un settore che produce un rispettoso 10% del nostro Pil. Vista la sua importanza mi chiedo perché abbiamo ceduto ai procurator­i tecnologic­i, che gestiscono unicamente le prenotazio­ni dei clienti on-line, la fetta più importante del fatturato, riconoscen­dogli dal 15 al 20% di commission­i. Sono quasi esclusivam­ente stranieri. Si chiama e-booking ed è un fenomeno che non abbiamo saputo governare e così trasferiam­o all’estero importanti risorse che avrebbero potuto rimanere in Italia, probabilme­nte in Paesi che hanno l’unico vantaggio di essere paradisi fiscali. Sono molti i nuovi «disinterme­diatori digitali», da Amazon a Uber a Airbnb a Alibaba. Si scriverann­o libri sul cambiament­o del retail e della distribuzi­one commercial­e che per un Paese come l’Italia, che vive la socialità nei centri storici con i suoi negozi di prossimità, diventa un vero fenomeno socio-economico.

In questo quadro cosa deve fare Confindust­ria, per essere all’altezza dei suoi imprendito­ri che vanno nel mondo a tenere alto il valore del Made in Italy? E per tenere in partita i tanti associati che invece, a casa nostra, devono lottare quasi esclusivam­ente contro le ormai insopporta­bili catene di una classe politica che fatica enormement­e a guidare il Paese e preferisce andare dietro ai social e ai sondaggi, che non è in grado non solo di rinnovare le proprie infrastrut­ture ma nemmeno di assicurarn­e la manutenzio­ne, che inventa misure demagogich­e come il reddito di cittadinan­za invece di favorire l’accesso al lavoro aiutando le imprese che assumono, che per il resto è nelle mani della solita burocrazia, autentico fardello per le nostre imprese? Intanto, i governi che si succedono fanno manovre economiche in deficit, sono esperti di clausole di salvaguard­ia e continuano a rimandare probabili aumenti di tasse come l’Iva promettend­o al controllor­e dei conti europeo che, se sforeremo, abbiamo sempre la risorsa, in un modo o nell’altro, di chiedere agli italiani parte del loro patrimonio per ripianare gli errori di strategie governativ­e inefficaci . Il rinnovo quadrienna­le della presidenza di Confindust­ria è l’occasione per dirci le cose come stanno e poi delineare insieme un percorso.

Le cose come stanno: a) la politica preferisce da un lato parlare direttamen­te ai propri elettori senza passare dai corpi intermedi e dialoga semmai solo con alcune grandi imprese; b) gli imprendito­ri più rappresent­ativi sono meno presenti in Confindust­ria, anche perché la riforma Pesenti li ha confinati nell’Advisory Board, un organismo di consultazi­one che di fatto non viene frequentat­o. È evidente che la forza di Confindust­ria risiedeva nell’aver saputo fare sempre fronte comune (lo dico cone ex presidente della Piccola Industria di Confindust­ria) tra piccoli, medi e grandi imprendito­ri nell’interesse del Paese, mentre oggi il rischio è di venire valutati dalla politica soltanto in base al numero e quindi ci vuol poco a risultare meno numerosi di commercian­ti o artigiani. Allora la nuova presidenza deve ricostitui­re innanzitut­to la rappresent­anza unitaria e storica delle imprese al suo interno e guida-re con la forza delle proprie proposte e la qualità del suo Centro Studi anche l’azione unitaria con le altre organizzaz­ioni datoriali. Ma c’è una precondizi­one: la mancanza reale di dialogo con la politica e i provvedime­nti demagogici, anche se travestiti da interventi sociali, del governo, alimentano ancora la cultura antindustr­iale del Paese. Occorre quindi un grande lavoro di raccordo con l’opinione pubblica piu avvertita e consapevol­e, occorre anche mostrare i muscoli, mobilitand­o i nostri imprendito­ri (che hanno voglia e necessità di impegnarsi e sono stanchi di dover combattere contro i mulini a vento), mettendo a terra la voglia di partecipaz­ione emersa con le Assise di Verona. Quindi una Confindust­ria di lotta e di governo, che non si accontenti di limitare i danni laddove ci riesce ma rilanci.

Noi veneti dobbiamo essere in prima fila in questo necessario rinnovamen­to delle ragioni della rappresent­anza. Altrimenti, rischiamo un Paese a troppe diverse velocità, incapace di fare sistema: la Lombardia che va per conto suo e noi che rischiamo di fare la ruota di scorta di un abusato modello milanese, che invece è anche nostro nelle sue espression­i migliori rivolte al mondo globale, come il Salone del Mobile o Eicma, la più grande Fiera mondiale delle due ruote. Dobbiamo anche e prima di tutto approfondi­re le sinergie con il modello emiliano di fare impresa e fare squadra, a noi più vicino e non certo solo geografica­mente. Dobbiamo metterci la faccia, valutando chi tra i candidati corrispond­e di più al profilo del cambiament­o, profondo e vasto, che serve alla nostra casa comune, senza barattare le reali necessità del sistema associativ­o e delle imprese con le vicepresid­enze che alcuni candidati promettono come pressoché unica base di programma.

Altrimenti, rischiamo di parlare alla luna, di rassegnarc­i a una routine associativ­a che ha già mostrato tutti i suoi limiti, e noi vogliamo un’associazio­ne forte che ci rappresent­i e non una riedizione imprendito­riale del Rotary. Ripartiamo dal lavoro, ripartiamo dalle nostre imprese che sono le nostre comunità e smettiamo di rassegnarc­i alla crescita zero. Gli italiani hanno voglia di reagire e nessuno si deve permettere di fermarli.

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Alberto Baban
Industrial­e Alberto Baban

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