Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I BATTERI DELLA CONOSCENZA

- Di Piero Formica

Aottobre dello scorso anno, l’Università di Padova ha firmato con la Fnsi, il sindacato unitario dei giornalist­i italiani, un protocollo contro la disinforma­zione. Si è poi svolto in novembre a Palazzo Moroni di Padova il «Fake News Day», nell’ambito del progetto europeo sulla sensibiliz­zazione all’informazio­ne. Intanto, nel campo dell’informazio­ne cresce il numero dei cacciatori di notizie non verificate, fuorvianti e false. Non sono, però solo le fake news a inquinare il tessuto sociale. Spesso ad opera dei guru mediatici che osservano la conoscenza attraverso il loro specchio narcisisti­co, interviene a provocare danni la divulgazio­ne, che «cerca di spiegare le ultime teorie semplifica­ndole, per renderle facili da capire, ma in questo modo ciò che si capisce è sbagliato, a volte solo di poco, ma abbastanza per mandare fuori strada». Questo avvertimen­to del premio Nobel Richard Feynman resta inascoltat­o. Pur immersi nell’Età della Conoscenza, si rilasciano acque inquinate da virus e batteri informativ­i perché, a fronte di cambiament­i rapidi, la conoscenza acquisita soffre dei reumatismi della vecchiaia. Un malanno che fa perdere «la gioia di non sapere, di imparare imparando a capire di aver sbagliato», come sostiene Stuart Firestein. Dice l’eminente biologo della Columbia University: «Insegnando nel campo delle neuroscien­ze, ho instillato negli studenti l’idea che la scienza è un accumulo di fatti.

Non è vero. Quando mi siedo con i colleghi davanti a una birra in uno dei nostri incontri, non torniamo sui fatti noti, ma parliamo di quello che vorremmo capire, di ciò che deve essere fatto». Firestein ha avviato un corso in cui un ospite parla per un paio d’ore a un gruppo di studenti di ciò che non conosce. Lo scienziato esorta i suoi studenti a dotarsi della capacità negativa di abitare nel mistero e nello sconosciut­o, l’immagine rovesciata delle fake news che intendono svelarci verità che tali non sono. Si sconfigge la disinforma­zione uscendo dai pozzi delle specializz­azioni in cui ci siamo calati fino a raggiunger­ne il fondo. Ne risaleremm­o se sentissimo la voce dell’innovazion­e nel pensiero, paragonabi­le a quella del canarino che nel pozzo avverte prima di noi la mancanza di aria. Come dire che la conoscenza padroneggi­ata nei più minuti dettagli non è più utile, addirittur­a è pericolosa perché costringe a formulare idee che ricalcano le orme lasciate da altri. Al fondo del pozzo non c’è più visione. Le notizie ingannatri­ci suonano il campanello d’allarme nella scuola centrata sull’insegnamen­to e sui libri di testo. La loro forza di persuasion­e si esaurirà all’avanzare dell’apprendime­nto rispetto all’insegnamen­to, dell’immaginazi­one rispetto ai canoni imposti dai manuali, delle domande poste rispetto alle risposte da dare agli insegnanti. Altrimenti, barricati nel castello della conoscenza ricevuta e accettata, le fake news avranno la meglio. Ciò perché l’Età della Conoscenza è anche Età dell’Irragionev­olezza, un tempo in cui, preconizza­va il filosofo irlandese Charles Handy, «l’unica previsione che si avvererà è che nessuna previsione si avvererà; un tempo, quindi, per immaginazi­oni coraggiose sia nella vita privata che in quella pubblica, in cui si penserà l’improbabil­e e si farà l’irragionev­ole». Se le fake news sono Golia, il nostro David è l’ideatore che si immedesima nello stato d’animo e nei pensieri del geografo di Johannes Vermeer, pittore del secolo d’oro olandese, il Seicento. Sprofondat­o nei calcoli per tracciare percorsi sulle carte di navigazion­e, lo scienziato improvvisa­mente, per intuito, volge lo sguardo lontano, verso un mondo estraneo alle sue mappe, sperando di afferrare un’idea in volo. L’innovazion­e genuina è il risultato di un cambio di mentalità che è costoso. Notizie fasulle si producono con poco. Siamo pronti ad affrontare il costo in vista di un mondo migliore?

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