Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I medici di base non sono burocrati indisponibili
Gentile direttore, l’incipit dell’articolo di spalla, pubblicato sul Corriere del Veneto del 23 gennaio 2020 a firma di Gabriella Imperatori, è un esempio lampante di come un’informazione superficiale e farcita di luoghi comuni rischi di minare istituti fondamentali come la sanità pubblica e la scuola pubblica, che consentono ai cittadini di poter contare sulla garanzia di alcune sostanziali tutele. La descrizione che l’autrice fa del medico di famiglia (a proposito, venne prima il «medico di base» e ora il «medico di famiglia») è quella di un
burocrate indisponibile, ma è quanto di più lontano dalla realtà, che invece dovrebbe essere il riferimento di chi vuole fare corretta informazione.
È evidente che la giornalista sorvola (e voglio credere che sorvoli) il fatto che la richiesta di assistenza in questi cinquanta anni è radicalmente cambiata, l’aspettativa di vita dei veneti è aumentata di nove anni e con essa le patologie croniche e quindi i carichi assistenziali domiciliari.
È chiaro che l’autrice non è a conoscenza di quanto descritto dall’indagine della Cgia di Mestre «L’Opinione dei veneti sui medici di medicina generale — Un’indagine presso i cittadini», che comunque potrà recuperare negli archivi della sua testata, che ha partecipato alla sua presentazione. Il giudizio espresso dai cittadini veneti alle domande dirette è ben diverso dalle «sensazioni» della giornalista Imperatori. Alla domanda: «Disponibilità del medico ad effettuare visite a domicilio?» la rilevazione dello «Studio Sintesi» è la seguente: oltre due terzi dei pazienti (69%) hanno potuto constatare la disponibilità del medico a effettuare viste a domicilio; il 23% — al contrario — non ne ha riscontrato la disponibilità e il restante 8% non ha probabilmente mai avuto necessità di verificarlo». Alla domanda: «A chi ci si rivolge per primo in caso di problemi inerenti la salute?», tre veneti su quattro hanno risposto che si rivolgono direttamente al medico di medicina generale (75%). Tutte le altre figure dell’assistenza sanitaria passano in secondo piano, tanto che nella successiva posizione c’è lo specialista privato, cui fa ricorso meno del 9% delle persone. Se si esclude chi non ha mai avuto l’esigenza di risolvere problemi di salute, il resto degli intervistati si rivolge in prima battuta al settore pubblico della sanità: alla Guardia medica e allo specialista ambulatoriale o ospedaliero in quote superiori al 4%, con minor frequenza al Pronto soccorso ospedaliero (3%).
Alla domanda: «Presenza di un miglioramento del servizio e dei tempi di attesa per effetto delle visite ambulatoriali su appuntamento?» questo il risultato: la maggior parte dei pazienti (58%) ha rilevato un effetto positivo dovuto alla riduzione dei tempi di attesa per la visita. Il 12% segnala un miglioramento generale del servizio, ma un’uguale quota lamenta invece che il
miglioramento atteso non c’è stato, perché è difficile riuscire a prendere appuntamento.
Complessivamente, dunque, quasi l’81% di chi gode del servizio di visita su appuntamento ritiene che la sua introduzione abbia sortito un effetto positivo e solo il 17% non ne ha tratto alcun giovamento. Non è opportuno continuare, ma potrebbe essere utile che la redattrice dell’articolo esaminasse lo studio nel suo insieme. Il mio intervento non è in difesa di una professione che, in tutti i sondaggi e in tutte le inchieste, risulta tra tutte le professioni sanitarie la più apprezzata dai cittadini, ed è per noi il vero giudizio che conta. Siamo gli unici tra gli operatori sanitari che godono della fiducia dei cittadini, perché «scelti» da loro, e gli unici che, se non soddisfatti, possono essere «cambiati». Il mio intervento è un appello affinché chi quotidianamente ha ruoli di influenza, come gli operatori dell’informazione, non descrivano questo mondo senza il dovuto approfondimento.
Con questo atteggiamento si rischia di instaurare meccanismi populisti, non giustificati, che mettono a rischio conquiste importanti di civiltà e democrazia.
Proprio per i motivi che prima ho citato,
aumento delle cronicità, disabilità e non autosufficienza, bisogna fare evolvere l’organizzazione della Medicina di Famiglia perché il sistema è in difficoltà nonostante viviamo in una regione in cui la risposta pubblica è forte ed efficace, lontana da tentazioni di privatizzazione. Come avviene in altre regioni a noi vicine. *Segretario generale regionale Fimmg Veneto (Federazione italiana medici di medicina generale)
Nel mio articolo del 23 gennaio sul Corriere del Veneto non ho certo parlato di «tutti» i medici di famiglia (o di base), ma solo di alcuni casi, come sta chiaramente scritto nel testo, e non ho preso spunto da «sensazioni», ma da esperienze personali e dal racconto di altri pazienti. Forse si tratta proprio di quella percentuale di persone che, malauguratamente, non è riuscita ad avere un appuntamento nei tempi necessari o desiderati? Non ho certo voluto infangare la categoria, ma, come credo che anche lei vorrebbe, nonostante le obiettive difficoltà cui accenna, desidero cercar di migliorare il rapporto medico-paziente.