Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Folla all’addio a Simone Il fratello: «Ora giustizia»
Applausi dei colleghi al feretro. Mercoledì si decide la strategia legale
CINTO EUGANEO Si sono celebrati ieri mattina, a Cinto Euganeo, nel Padovano, i funerali di Simone Sinigaglia, l’operaio di 40 anni suicida dopo il licenziamento. Non era presente nessuno dell’azienda. E il fratello ha urlato: «Vogliamo giustizia».
CINTO EUGANEO (PADOVA) Ieri, alle dieci di mattina, in quel di Cinto Euganeo si celebravano due funerali, con una sola omelia, lo stesso prete e la stessa gente: l’uno per piangere il compagno di fabbrica, l’amico e il fratello che non ha retto al licenziamento e si è ucciso; l’altro in cui si seppelliscono gli ultimi due anni – ma c’è chi dice di più – di relazioni aziendali tra la IVG Colbachini e le maestranze, relazioni già da tempo fredde se non del tutto inanimate, ora fatalmente diverse. Qui l’azienda non è gradita, nessuno la vuole, la sua presenza è avvertita come ipocrita se non oltraggiosa. Ai piani alti devono aver capito tanto che non ci hanno nemmeno provato; per cui non ci sono i dirigenti, non una corona di fiori che rappresenti la proprietà, non un telegramma, e la rottura è così profonda e insanabile che persino la dicitura IGV sulla corona dei compagni di fabbrica è sparita all’ultimo momento, «I tuoi colleghi» e basta.
Poi se vai sul web capisci che qui non ci sono solo «i colleghi» e gli amici della pesca sportiva; i presenti erano molti di più, sul sagrato di San Donato, nella frazione di Fontanafredda, c’erano gli altri e gli innumerevoli di aziende, ditte e luoghi di lavoro che neanche lo conoscevano Simone Sinigaglia ma per i quali il suo suicidio è diventato il simbolo di una ribellione, il grido di una condizione e di un disagio - dentro la fabbrica? Di tutta la società? - e tutti a chiedere che i suo sacrificio non sia invano, a dire che la morte per licenziamento è un lutto pubblico che chiede riparazione.
Davide, il fratello di qualche anno più vecchio - Simone ne aveva 40 e ogni giorno gli lavorava accanto, sulla stessa macchina, una stracannatrice, si chiama così, che prepara il semilavorato con cui si fanno tubi di gomma -, si davano il cambio, Simone dalle 6 alle 14, Davide dalle 14 alle 22 così che almeno uno dei due, ogni volta, poteva correre da papà Tarcisio e da mamma Onoria che sono in buona salute, ma vecchi.
Davide, ieri, aveva negli ocrisposte chi troppe lacrime per parlare. E forse non ne aveva nemmeno l’intenzione quando la bara è uscita dalla chiesa e gli inservienti l’hanno issata sul carro funebre dove è rimasta per lunghi interminabili minuti - sembrava non volersene andare, il carro non partiva e la folla muta era in attesa di qualcosa, contratta in uno spasmo insopportabile – è stato allora che Davide, con il braccio alto sulla bara e la voce rotta, ha gridato: «Faremo giustizia di tutte queste cose, non è giusto, non è umano, queste cose non si fanno». L’applauso è stato liberatorio, travolgente, un grido accolto come si accoglie uno squillo di rivolta da troppo tempo atteso, per troppo tempo sopportato.
La IVG Colbachini è un’azienda di quasi 400 persone, moderna, sindacalizzata, ligia al contratto nazionale - quest’anno, come gli anni scorsi, elargisce un premio produzione di 950 euro a dipendente - e se chiedi ai sindacalisti che pure erano lì a rappresentare quel disagio e quella condizione non ottieni precise, solo la consapevolezza che qualcosa è cambiato, come dice Paolo Botton della Cisl: «Simone ha sparigliato le carte, oggi non è più come ieri, il suo gesto costringe l’azienda a cambiare atteggiamento, il punto è se lo farà sinceramente o solo in attesa che la cosa rientri».
Ma di nuovo: quale atteggiamento? Cosa c’è che non va in un posto di lavoro sindacalmente garantito, contrattualmente tutelato sia pur assediato da norme, presidiato da regole e circoscritto dal rigore elisabettiano: una infrazione, due infrazioni, una lettera di ammonimento, alla fine l’investigatore privato ti segue, ti spia e ti fotografa per mesi. Ecco, tu, tu hai infranto le regole della 104 sui distacchi per cure parentali, hai comprato una pizza invece di stare accanto alla zia - e forse l’hai anche mangiata - eri fuori casa a potare l’ulivo e non al suo capezzale. In una parola: sei venuto meno al rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente. «Ecco, è proprio quello che dicono, il rapporto di fiducia. Ma non c’è solo il loro, c’è anche il nostro rapporto di fiducia con l’azienda che non c’è più, e questo da molto tempo» mi fa un collega di Simone.
«Anni fa era diverso, ed eravamo in 600 - spiega un altro - poi l’aria è cambiata. Allora si lavorava per il magazzino, ora si lavora pronto ordine, i controlli sono aumentati, così le visite fiscali, tutto con i permessi sindacali difficili da ottenere e gli ammonimenti che si moltiplicano; non c’è dipendente che non ne abbia avuto uno. Perché proprio Simone? Perché lui? Lui come poteva essere un altro, per dare un esempio, bastonarne uno per educarne mille».
Dieci anni fa il vecchio Colbachini riunì tutti in un capannone e disse: «Siamo in crisi, ma da qui non se ne va nessuno, ci metto 20 milioni dei miei se necessario». E così fece, risanò l’azienda, rilanciò il fatturato. Il Colbacchini di allora è lo stesso di oggi, un padrone che gira per i reparti e saluta gli operai. Che cosa è cambiato da allora? «Il management, un modo di intendere i rapporti con i dipendenti», spiegano.
E ancora non basta, non basta neanche a chi lo dice: «Fosse fuori Simone, vivo a cercarsi un lavoro, tu credi che avrebbe trovato qualcosa di diverso? - fa un sindacalista al suo operaio - no, è il mondo della produzione che è cambiato, con noi complici e silenti a ripeterci il mantra della moderazione». «E non basta ancora, è fuori, è tutta la società che ti fotte, siamo soli» aggiunge un amico e basta
La famiglia di Davide chiede giustizia e il sindacato pensa a come dargliela. Sindacalisti e Rsu decideranno mercoledì prossimo, sono il sindacato e i lavoratori di oggi, quelli della concertazione e della modernità, quelli che hanno capito che la vita è altrove, che non si esaurisce in fabbrica. Allora: chi mettere sul banco degli imputati?
Un collega della vittima Perché proprio Simone? Perché lui? Lui come poteva essere un altro, per dare un esempio, bastonarne uno per educarne mille
È il mondo della produzione che è cambiato, con noi complici e silenti