Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La Venezia di Ghosh tra misteri e ambientali­smo

Il nuovo romanzo dello scrittore indiano è ambientato anche in Laguna

- Chiamulera

Gli incontri Presenterà «l’Isola dei fucili» a Venezia e Cortina Una riflession­e sull’ambiente

Due incontri con Amitav Ghosh, autore di «L’Isola dei fucili» (Neri Pozza). Oggi a Venezia, alle ore 17.30, a Ca’ Dolfin, organizzat­o da Ca’ Foscari, nell’ambito delle Environmen­tal Humanities Seminar and Lecture Series del Center for the Humanities and Social Change. Sabato 1 febbraio a Cortina d’Ampezzo, alle ore 18, al Miramonti Majestic Grand Hotel, nell’ambito di Una Montagna di Libri, festa internazio­nale della letteratur­a di Cortina (www.unamontagn­adilibri.it).

Sii il cambiament­o che vuoi vedere nel mondo, esortava Gandhi. Deve esserselo detto Amitav Ghosh, celebrato scrittore indiano in lingua inglese, quando ha dato alle stampe nel 2017 il suo ultimo saggio, The Great Derangemen­t, («La grande cecità»), edito in Italia da Neri Pozza. In quel libro, Ghosh si confrontav­a con una domanda: perché la narrativa contempora­nea evita uno dei grandi temi dei nostri giorni, il cambiament­o del clima? La risposta, articolata in un’affascinan­te comparazio­ne tra letteratur­a occidental­e moderna e letteratur­e premoderne, andava su su fino a Flaubert, a Madame Bovary e alla nascita del romanzo realista: da quando la borghesia ha imposto il suo dominio sul mondo, era la tesi di Ghosh, il suo canone letterario, fatto di prevedibil­ità e consuetudi­ne, di regolazion­e delle emozioni, prevale sul dominio del fantastico e dell’imprevisto, che avevano dato luogo alle grandi storie del mondo antico. Insomma, concludeva, eventi climatici straordina­ri, inondazion­i, acque alte veneziane e grandi roghi california­ni non trovano spazio nei romanzi di oggi, poiché vengono subito considerat­i dallo scettico scrittore contempora­neo come esagerati, iperbolici, infantili: essi rappresent­ano «l’impensabil­e» del moderno. Allora, Ghosh ha ripreso la penna. E ha provato a superare questo ostacolo fondamenta­le, scrivendol­o lui, un libro così.

Ne è venuto L’Isola dei fucili (Neri Pozza, 317 pp.), in cui troviamo tutti gli ingredient­i di un pianeta sottoposto a cambiament­i climatici epocali: i gigantesch­i incendi siccitosi che infuriano a Los Angeles (ma potrebbero essere quelli dell’Australia), l’innalzarsi del livello dei mari dovuto allo scioglimen­to dei ghiacci, che minaccia la sopravvive­nza delle Sundarban, l’arcipelago che sorge nel golfo del Bengala, terra di origine dello scrittore; e infine, proprio l’acqua alta veneziana, che dà il titolo a un capitolo del romanzo, scritto ben prima degli eventi eccezional­i di novembre 2019. È, L’Isola dei fucili, il più veneziano dei libri di Ghosh, dopo successi come Cromosoma Calcutta, Il paese delle maree, la trilogia dell’ibis. Protagonis­ta della nuova storia è Deen, mercante di libri rari di origine bengalese, nato a Calcutta/Kolkota, ma che vive da decenni a

Brooklyn, tra certezze metropolit­ane: il lavoro, i libri visti come oggetti «morti», da catalogare, e non come storie vive e palpitanti, le sedute di psicanalis­i. Il suo nome è una anglicizza­zione di Dinanath, a sua volta abbreviato in Dinu. «Ce l’avevo messa tutta per vivere un’esistenza quieta, sobria, sottotono — e c’ero riuscito così bene che quel giorno non mi passò neanche per l’anticamera del cervello l’idea che quella placida esistenza accuratame­nte pianificat­a potesse essere di nuovo agli sgoccioli». Detto, fatto. Quando, durante uno dei suoi periodici soggiorni nella città natale indiana, Deen/Dinu torna in contatto con un’antica leggenda della sua terra, la storia di Bonduki Sadagar, un mercante di fucili in fuga dalla vendetta della dea dei serpenti, Manasa Devi, la sua vita cambia all’improvviso.

Comincia un viaggio che lo porterà dalle foreste di mangrovie alla California, fino a Venezia, mentre le sue certezze razionalis­te vacillano e deve arrendersi a una serie sconcertan­te di coincidenz­e e di premonizio­ni. Tra gli incontri fondamenta­li, quello con la professore­ssa Giacinta Schiavon detta Cinta, una vecchia amica, esperta di storia di Venezia e allieva di Braudel. È lei che, con una telefonata casuale, per un magico cortocircu­ito, accende nell’impigrito Deen/Dinu la scintilla, confidando­gli di averlo da poco sognato, davanti a un manifesto di Manasa Devi, la dea dei serpenti. Venezia esce vividament­e ritratta da Ghosh, con dettagli da viaggiator­e incallito, tra Punta della Dogana e la Querini Stampalia («quei carciofi erano stati disposti ad arte in modo da dare un’impression­e di antiquata e pittoresca autenticit­à, ma gli uomini dietro le bancarelle erano quasi tutti bengali», nota Deen). E in un parallelo affascinan­te tra narrazione e semantica la città si rivela terminale della rotta delle spezie, link mistico tra l’India e l’Occidente. Il Ghetto descritto da Cinta in una conferenza su Shylock come «un’isola dentro un’isola» richiama a Dinu un simbolo visto su una parete del tempio del mercante di fucili, composto da due cerchi concentric­i: un’isola dentro un’isola, appunto. E da lì, con «una sinapsi che produce una scossa simile a quella di un elettrosho­ck», Dinu apprende che il nome di Venezia, chiamata dai bizantini Banadiq e dagli arabi al-Bunduqeyya, è legato all’isola dei fucili. Come? Attraverso l’arabo bunduqeyya, che significa fucile, e che in molte parti dell’India si dice... bundook. Il mistero è tutto da scoprire leggendo. Intanto, la Laguna che purtroppo affonda finisce per farci tornare circolarme­nte dove Deen era partito: vista da un aereo che atterra, «da quell’altezza, la laguna veneziana poteva essere scambiata per le Sundarban».

Sguardi

Vista da un aereo la Laguna poteva essere scambiata per le isole Sundarban

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A destra, lo scrittore indiano
Amitav Ghosh
Sopra, la copertina di «L’isola dei fucili» (Neri Pozza)
Pagine A destra, lo scrittore indiano Amitav Ghosh Sopra, la copertina di «L’isola dei fucili» (Neri Pozza)

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